Venezia 68, A Dangerous Method, elegante ma didascalico

Applaudito il film di Cronenberg sulla nascita della psicanalisi. Nel cast Viggo Mortensen, Keira Knightley e Michael Fassbender

Ci scherza perfino lui, Cronenberg stesso, sull’uso che si fa dell’aggettivo “cronenberghiano”, generalmente intendendo un modo di rappresentare il mondo e le persone attraverso la mutazione (corruzione, decadimento, trasformazione) dei corpi.

Nonostante tutto, non si sottrae alla collocazione nemmeno A Dangerous Method, in concorso a Venezia 68, in cui il regista canadese racconta la nascita della psicanalisi – che, in prima approssimazione, significa curare un paziente attraverso il dialogo – concentrandosi sul doppio rapporto che Gustav Jung (Michael Fassbender) instaurò prima con il suo mentore e maestro Sigmund Freud (Viggo Mortensen), e poi con una paziente affetta da pulsioni masochistiche, che diventerà la sua amante e poi essa stessa psicanalista.

Quest’ultima, Sabina Spielrein (Keira Knightley), è appunto il personaggio più legato alle ossessioni di Cronenberg, per come abbiamo imparato a conoscerle. La donna ci viene presentata alla stregua di un animale selvaggio, atteggiata quasi in modo scimmiesco, e trattenuta dagli infermieri durante una crisi isterica. Una volta rinchiusa in clinica, inizia il suo rapporto con il dottor Jung, alla ricerca delle cause del disagio. E man mano che queste vengono a galla, la sua trasformazione psicologica si accompagna a una mutazione della sua postura, della sua camminata e del suo abbigliamento.

Sabina riconosce le sue pulsioni, smette di reprimerle, e così facendo trova il modo di convogliarle in modo non distruttivo. Questo modo, però, è una relazione sado-masochistica con lo stesso dottor Jung che, mentre fa i conti con le coscienze e i blocchi altrui, si ritrova per le mani i propri tabù sociali.
Su questa traccia si instaura l’altra, con Jung che si confronta con il maestro in cerca dell’origine dei suoi desideri, attraverso l’analisi freudiana dei sogni (in un caso, Freud fa notare a Jung che stanno parlando addirittura da tredici ore).

La distanza tra i due dottori si misura su più fattori. Quello sociale: Jung ha sposato una donna molto ricca, mentre Freud vive in relative ristrettezze. Quello caratteriale: Jung è più propenso al conflitto, mentre Freud, anche mentre lo analizza, tende a negarlo. Infine quello professionale: Freud si sente accerchiato, il pensiero dominante nell’Impero austro-ungarico di inizio ‘900 è di un razionalismo quasi fondamentalista, e risulta difficile accettare che esistano problemi che non possono essere ricondotti alla ragione. Per questo è ossessionato dal dare un vestito scientifico inattaccabile alle sue teorie. Jung crede invece ci sia qualcosa che resta fuori da questo territorio, qualcosa che ha a che fare con l’intuizione, la telepatia, addirittura la precognizione.

Se tutto questo vi sembra didascalico e poco appassionante, ebbene, lo è: A Dangerous Method è un film di raffinata eleganza, istruttivo ma distante. E paradossalmente è un film che parla di pulsioni negando nei fatti quelle tradizionalmente associate al suo autore, che cristallizza una storia piena di erotismo, violenza repressa e incombenti minacce (la Prima Guerra Mondiale è alle porte) in una esibizione registica di museale brillantezza. Ve ne diranno meraviglie, ma per amarlo dovrete sforzarvi per bene.

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