«Quando non ci sarà più posto all’inferno i morti cammineranno sulla Terra»: la profezia di Romero si è avverata

Un omaggio al grande regista che rivoluzionò il cinema horror inventando lo zombie-movie

George A. Romero è morto

È impossibile ricordare George A. Romero, scomparso all’età di 77 anni, prescindendo dalla sua presenza fisica, che se avevi modo di incontrarlo da vicino non poteva lasciarti indifferente: questo signore americano altissimo e dinoccolato, dalle origini cubane, per parte di padre, e lituane, per via delle madre, era un misto di forza statuaria e di dolcezza: l’imponenza del suo corpo, se entrava in una stanza, gli conferiva un’autorità smorzata però immediatamente dal sorriso mite, bonario e gentile, da vero gigante buono, e da quegli occhiali dalla montatura spessissima, direttamente proporzionale alla profondità e all’acutezza del suo sguardo.

Tanto si è già scritto e si scriverà in questo ore sul genio di questo regista impareggiabile, che col suo esordio La notte dei morti viventi di fatto inventò un cinema horror a mano armata capace di farsi coscienza lucida e apocalittica, oltre che metafora macabra e ludica, del proprio presente, delle sue contraddizioni, delle crepe di una società, quella americana, che nel 1968 si scopriva già asserragliata dai propri incubi, famelica e ciondolante proprio come gli zombi di Romero. Perché non c’è dubbio, al netto di tutte le possibili interpretazioni relative ai morti viventi ai quali il regista ha dedicato la quasi totalità della sua immaginazione e della propria carriera, che quelle creature siamo innanzitutto noi che le guardiamo e le temiamo. Ancorati alle nostre sicurezze a nostro dire vitali, ma in realtà non meno mortifere e striscianti delle paure più profonde che ci attraversano.

Una consapevolezza abissale, che Romero ha saputo instillare nello spettatore da grandissimo autore horror quale fu, ma anche da gigante del cinema tout court. Perché non esiste grande regista, al netto di tutto, che non rivolga la stessa ascia che brandisce in prima persona nelle mani dello spettatore, invitandolo ad impugnarla lui stesso in prima persona, a prendere posizione, a veicolare una scelta morale e un punto di vista pragmatico e attivo su ciò che viene rappresentato.

Nel caso di Romero, la scelta era tutta tra soccombere agli zombie o provare a combatterli, tra lasciarsi inghiottire dalla loro fame immemore e cieca o tentare di sottrarsi, in una corsa folle innanzitutto contro sé stessi, dal buco nero senza ritorno che la loro disumanizzazione – è proprio il caso di dirlo – incarnava. Non rinunciando però mai, ed è forse proprio questa la più grande lezione che Romero ci lascia, a riconoscere su di noi l’azione della morte al lavoro senza schermarci gli occhi, perché anche la trave più resistente che possiamo immaginare di frapporre tra noi e la fine è destinata a crollare. A vedere noi stessi nell’abisso dei terrori che ci attraverso la mente e le viscere, specchiandoci, riconoscendoci, chiamandoci e chiamandoli per nome.

Perché lo zombie, si sa, è sempre qualcun altro, anche e soprattutto di questi tempi, che Romero ha continuato a immortalare in maniera impeccabile, arrivando a usare gli zombi come un bersaglio da tiro alla mercé della YouTube generation in Diary of the Dead – Le cronache dei morti viventi: le persone che ci circondano, la politica, la sorte che è ingiusta, il mondo che è sbagliato, la propria ambizione, di rivalsa o anche solo di sopravvivenza, che soccombe al cospetto della spietatezza altrui o della nostra stessa inerzia, il destino cinico e baro, il sistema.

Romero, da grande precursore dei tempi e delle forme quale fu, ha fatto carta straccia, o forse sarebbe meglio dire carne da macello, di tutta questa retorica instillando nei nostri stessi occhi il germe del contagio, nella speranza che lo spirito soprannaturale del folclore haitiano ridestasse in noi il lampo del riconoscimento e il barlume decisivo per riconoscerci come i mostri che siamo, ponendovi rimedio senza cadere nella trappola buonista e pericolosissima di dare per scontato il contrario. «Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla Terra», citando Zombi, secondo capitolo della sua saga leggendaria sui morti viventi, e rivolgendo tale profezia verso di noi, come il cuore politico del cinema di Romero sembra imporre senza alcun dubbio.

A sentirlo parlare della sua arte, termine che probabilmente gli sarebbe stato a dir poco largo, George Romero è stato il più inconsapevole tra i maestri del cinema contemporaneo: La notte dei morti viventi per lui nacque come un horror commerciale per ragazzini e il protagonista, Duane Jones, è stato scelto solo perché il miglior attore tra i suoi amici, non certo per dare una valenza politica al colore della sua pelle, come tutti hanno poi scritto e pensato. Eppure, appena finito film, dirigendosi a New York con la prima pizza nel bagagliaio della sua automobile, George Romero sente alla radio la notizia dell’omicidio di Martin Luther King.

Probabilmente, essere un grande regista è anche e soprattutto questo: conficcarsi al centro della scena senza neppure sapere come ci si è riusciti, far sì che la propria storia rispecchi la Storia con la s maiuscola con la leggerezza sfrontata e un po’ inconsapevole di chi non appiccica simboli e metafore alle proprie idee ma la lascia pulsare e azzannare ciò che le circonda. Dando alle proprie trovate, anche alle più incespicanti, elementari e di grana grossa, la statura, l’ampiezza e la profondità di un trattato filosofico.

Perché, anche se non corrono, non è detto che non siano vive.

Vi lasciamo, infine, alcune clip significative tratte dai film di Romero. Su Zombi, in particolare, ci piace ricordare, giusto per instaurare un ponte con le nuove generazioni di registi influenzate in profondità dal magistero romeriano, la dichiarazione di Nicolas Winding Refn, che si era così espresso alla scorsa Mostra del cinema di Venezia introducendo il film al pubblico del Lido: «Questo film che vediamo stasera è uno dei più importanti in assoluto, un capolavoro. Siete di fronte al film che ha raccontato la società contemporanea e ha creato Donald Trump. Zombi è l’unico film nella storia fatto da due registi (l’altro è Dario Argento, amico di Romero e responsabile degli edits del film per il mercato non-anglofono, ndr), l’unico film ad avere un padre e una madre anche se io non so dire chi sia chi dei due».

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