Before Midnight: per la terza volta, insieme a Jesse e Celine. La nostra recensione

Arriva in sala, dopo Prima dell'alba e Prima del tramonto, la terza puntata della trilogia che sta accompagnando una generazione

Before Midnight è un film su cui è impossibile raggiungere un accordo. Dipende tutto da voi: età, esperienze, sensibilità. È una cosa che più o meno vale sempre, ma in un caso come questo vale in particolare. Il film chiude (?) la trilogia di Jesse e Celine firmata da Richard Linklater con la complicità dei protagonisti e co-sceneggiatori Ethan Hawke e Julie Delpy. Le puntate arrivano con scadenza fissa: tra la prima (1995) e la seconda (2004) sono passati dieci anni, tra la seconda e questa altri dieci. Invecchia il regista, invecchiano gli interpreti, invecchiano i personaggi, invecchiano gli spettatori: tutti in egual misura. Ora, anche sorvolando sulla qualità dei film, l’interesse antropologico dell’operazione non può sfuggire, ma è chiaro che l’esperienza emotiva dipende dalle coordinate che fornisce lo spettatore.
L’ideale, immaginiamo, sarebbe aver visto come noi ciascun film all’età dei suoi personaggi, non solo per corrispondenza di sogni, segni, mentalità e stereotipi, ma anche perché si tratta di cose che si trasformano al mutare delle generazioni: un certo tipo di sensibilità (per esempio l’esperienza del viaggiare, oggi molto più ovvia che negli anni ’90), che era accettabile, perfino ammirevole, vent’anni fa, oggi potrebbe essere considerata solo ridicola.

È una delle ragioni per cui Before Midnight si porta appresso il peso dei suoi anni: sono personaggi di quarantenni scritti da quarantenni, non cinquantenni che ripensano un’altra età con malinconia, né trentenni che la prevedono con energia e cinismo. Sono quindi, i volti e i dialoghi – in un film che è pieno di riprese frontali e spesso in piano sequenza – certamente studiati, ma allo stesso tempo “a caldo”. E solo a caldo, di getto, andrebbero discussi, insieme ai personaggi. In questa frenesia c’è l’espressione di una necessità e un limite. La necessità è quella di aggiornare il punto sulla vita di due intellettuali artisti “morbidamente” di sinistra, di collocarsi nel mondo in prima persona, fornendo un riferimento agli spettatori. Il limite (se lo è) è che fatti e misfatti dei due protagonisti – quando non sono iperletterari – sono talmente comuni, poco lavorati, che hanno la pochezza e la banalità un po’ scema di certi discorsi da social network – un tempo avremmo detto “da bar”.
Si ottiene un film che forse si preoccupa troppo di esserlo, incerto tra i panorami meravigliosi e molto cinematografici della Grecia, e i corpi che invecchiano di Jesse e Celine, tra le loro liti giustamente cretine e le loro amicizie un po’ troppo studiate. Ma anche gli altri due erano così, e per quanto ci riguarda, va benissimo.

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