Cannes 2016: è il turno di Almodóvar. La recensione di Julieta

L'autore spagnolo torna ai melò raccontati come thriller che l'hanno reso celebre, con la storia di una madre che tenta di rimettersi in contatto con la figlia dopo molti anni

Julieta di Pedro Almodóvar è in concorso a Cannes69

È impossibile sapere come un grande autore arrivi a un’idea e poi la scelga, ma dentro questo nuovo film di Almodovar sono così sfacciate le tracce del suo passato e i contorni del suo linguaggio, che davvero viene da pensare a un’opera messa assieme a tavolino (su spinta produttiva?), dopo due film folli ma a loro modo vivi – e singolari – come La pelle che abito e Gli amanti passeggeri. O forse no, forse quest’altro melò incentrato su una figura di madre era davvero una piccola esigenza, e allora va bene così, può essere una pausa per tutti, un modo per guardarsi negli occhi e capire quanto ci piace ancora il cinema dell’autore spagnolo.

Julieta è una donna che vive da sola a Madrid e sta per trasferirsi in Portogallo con l’uomo che ama. Poi l’incontro casuale con una ragazza che non vede da tempo risveglia un dolore che non se n’è mai andato e la blocca in città. Allora ferma tutto, torna anzi nella casa che aveva lasciato qualche tempo prima, e inizia a scrivere una lunga lettera alla figlia che non vede da anni. La lettera diventa il flashback su cui è costruita la suspense del film, un po’ alla volta scopriamo la famiglia che Julieta si è lasciata alle spalle e com’è stato che la figlia ha deciso di abbandonarla.

Rispetto a Volver, Gli abbracci spezzati o Parla con lei qui il gioco a incastri dei personaggi è molto più semplice, si racconta la conoscenza tra la protagonista e l’uomo della sua vita, e poi il trauma che mette in moto il dramma, c’è intorno una piccola costellazione di personaggi ma il loro ruolo si esaurisce in poche battute. È davvero un Almodovar ridotto all’osso, non si può nemmeno dire che Julieta sia un film che ruota attorno alla figura della madre, come accade quasi sempre, sarebbe troppo: Julieta è una madre, il film è lei, quello che le è successo e ciò che le ha fatto.

Una trovata pura in realtà c’è (piccolo spoiler), il trauma che colpisce Julieta la trasforma letteralmente, nel senso che cade in depressione e all’improvviso ha un’altra faccia, diventa subito vecchia, alla fine di un bagno ha il volto di un’attrice diversa, il che risolve il paradosso cinematografico dell’invecchiamento impossibile senza ricorrere al trucco o al salto temporale estremo (fine spoiler).

Poi certo, resta il piacere – che chi ama il regista ritroverà intatto – di raccontare il melò come fosse un noir, la suspense dei sentimenti, l’amore mortifero, e anche la passione per i colori piatti e forti, la composizione geometrica degli interni (c’è all’inizio del film una scena in treno di grande fascino), l’insistenza sui primi piani, il cinema come un corteggiamento dei personaggi.
Ci si può insomma consolare, ma bisogna essere veri fan dell’autore, nostalgici irrimediabili delle sue manie.

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