Esterno Notte, i giorni più bui della Repubblica: la recensione della serie di Marco Bellocchio sul rapimento di Aldo Moro

Il racconto dei tragici giorni del rapimento di Aldo Moro, visti attraverso i molteplici punti di vista dei personaggi che di quella tragedia furono protagonisti e vittime. Marco Bellocchio, dopo Buongiorno, notte, torna su quelle drammatiche pagine della nostra storia nazionale con un nuovo, originale, potentissimo e incandescente sguardo. Su Netflix a partire dal 17 dicembre

Esterno Notte
PANORAMICA
Regia (5)
Sceneggiatura (4.5)
Interpretazioni (5)
Fotografia (4)
Montaggio (4)
Colonna sonora (4)

1978. L’Italia è dilaniata da una guerra civile. Da una parte le Brigate Rosse, la principale delle organizzazioni armate di estrema sinistra, e dall’altra lo Stato. Violenza di piazza, rapimenti, gambizzazioni, scontri a fuoco, attentati. Sta per insediarsi, per la prima volta in un paese occidentale un governo sostenuto dal Partito Comunista (PCI), in un’epocale alleanza con lo storico baluardo conservatore della Nazione, la Democrazia Cristiana. Aldo Moro (Fabrizio Gifuni), il Presidente della DC, è il principale fautore di questo accordo, che segna un passo decisivo nel reciproco riconoscimento tra i due partiti più importanti d’Italia.

Proprio nel giorno dell’insediamento del governo che con la sua abilità politica è riuscito a costruire, il 16 marzo 1978, sulla strada che lo porta in Parlamento, Aldo Moro viene rapito in un agguato che ne annienta l’intera scorta. È un attacco diretto al cuore dello Stato. La detenzione durerà cinquantacinque giorni, scanditi dalle lettere di Moro e dai comunicati dei brigatisti: cinquantacinque giorni di speranza, paura, trattative, fallimenti, buone intenzioni e cattive azioni. Cinquantacinque giorni al termine dei quali il suo cadavere verrà abbandonato in un’auto nel pieno centro di Roma, esattamente a metà strada tra la sede della DC e quella del PCI.

Esterno Notte è un passaggio esaltante e sotto tanti aspetti culminante nella filmografia di Marco Bellocchio, cineasta che ad 82 anni continua a dimostrare una vitalità e un’energia da fare invidia a praticamente tutti i suoi colleghi più giovani. In questo caso il cuore delle vicende narrate, il sequestro Moro, già affrontato da Bellocchio nel suo capolavoro della maturità Buongiorno, notte nel 2003, non è più stilizzato e portato verso esiti acidi e deformanti, non c’è più l’ambizione di riscrivere la Storia (e il suo finale) ma quella di illustrarne i mille volti e risvolti. 

Il pathos febbrile di Buongiorno, notte trova infatti in Esterno Notte un controcampo e un completamento ideale: stavolta Moro e la sua prigionia nel covo delle Brigate Rosse non è più soltanto un’ipotesi stilizzata di racconto, un sogno nel sogno, una zona franca al confine tra la nevrosi e la psicosi collettiva in cui far germogliare fantasmi pubblici e privati e rivoli di senso attraverso libere associazioni. In Esterno Notte seguiamo gli eventi, nell’arco di cinque ore e altrettanti episodi, approfondendoli di volta in volta dal punto di vista dei diversi personaggi in campo, con una vocazione magniloquente dell’affresco e un gusto epico e funereo nella messa a punto dei dettagli e dei dietro le quinte della politica e della società italiana del tempo. 

Si vira dunque verso la ricostruzione nel senso più classico del termine, ma è una dimensione che a Esterno Notte sta naturalmente strettissima, tante sono le effrazioni che mirano a scuotere lo spettatore, a scompaginarne commozione e indignazione, a re-immergerci negli anni di piombo ridando loro concretezza e tattilità. Stupisce fino a un certo che Bellocchio abbia saputo confrontarsi da pari a pari e con questa lucidità con il formato seriale ormai in voga anche presso gli autori di primo piano e di ogni ordine e grado, alla luce anche degli ultimi strepitosi esiti della sua filmografia, da Il traditore a Marx può aspettare, eppure Esterno Notte è ugualmente un risultato straordinario: per il livello e la potenza della messa in scena, per la qualità delle maestranze, si sarebbe detto un tempo per l’insieme dell’opera.

La monumentalità va infatti di pari passo con la capillarità e l’incursione tagliente e struggente nelle anime perse e nei mucchi selvaggi della Repubblica è collocata ovviamente nel suo frangente più buio, dolente, spiazzante e paradossale. Anima persa di Dino Risi e Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah sono film esplicitamente citati, o per meglio dire convocati sulla scena (il primo all’inizio dell’episodio 1 e il secondo alla metà circa del 5) in momenti di violenza efferata, sottolineando in chiave espressionista quelli che sono rispettivamente i temi cruciali della stagione dell’Italia raccontata da Esterno Notte: l’elaborazione del lutto e della perdita e la deflagrazione della lotta armata come aggressione al cuore dello Stato, in scia a un’adesione alle esigenze del proletario che incrocia lungo il percorso un horror vacui da spaesamento anarchico che Bellocchio sa raccontare come pochi altri. 

Il primo episodio è tutto su Moro, interpretato nuovamente da Fabrizio Gifuni che ne ha vestito i panni più occasioni, a teatro e al cinema (Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana), e qui lo incarna con millimetrico mimetismo, tanto nell’eloquio retorico e nella pacatezza quanto nella sofferenza sempre più scavata di quello che la serie propone a tutti gli effetti come il cristologico martirio di un politico dalla visione illuminata, modernissima, oggi assolutamente da rivalutare, in prospettiva e con le giuste lenti (come contraltare apocrifo e dissacrante c’è il ridimensionamento in un cono d’ombra di Enrico Berlinguer, per intenderci). Il secondo è il più spy di tutti, perché al suo interno il protagonista è il Ministro dell’Interno del tempo e futuro Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga (Fausto Russo Alesi), che si divide tra riunioni con alti ufficiali assertivi e apocalittici (il Generale della Guardia di Finanza che invoca la pena di morte per i brigatisti) e risvolti onirici da viaggio allucinato al termine della notte orchestrati intorno a un vero e proprio ministro della paranoia dalle mani chiazzate degne di Lady Macbeth. 

Nel terzo c’è Toni Servillo nei panni di Papa Paolo VI (seppur monografici, tutti gli episodi contengono anche brevi apparizioni di quasi tutti i personaggi in campo, cesellando la coralità in maniera avvolgente) ed è in assoluto la puntata più sbilanciata verso la solenne gravità morale, dato che racconta di un Papa equamente diviso tra la secolarizzazione della sua figura e la necessità cattolica della misericordia e dell’espiazione, anche fisica, del dolore e dell’insensatezza di un male abnorme, al cospetto del quale sospendere il giudizio e affidarsi alla preghiera e alle vie della Fede. Il quarto e il quinto chiudono Esterno Notte soffermandosi rispettivamente sul punto di vista dei brigatisti – è in assoluto l’episodio in cui la furia feroce e luciferina del Bellocchio più incendiario esplode di più – e su quello della moglie dello statista democristiano, Eleonora Moro, interpretata da una Margherita Buy all’apice del talento e dell’abnegazione personali un po’ tutto il resto del cast. 

Se un materiale così scivoloso e magmatico avrebbe potuto far tremare i polsi praticamente a chiunque, a stupire è l’equidistanza lucida, saggia e non ideologica – ma ugualmente furente – con cui Bellocchio, che grazie a Esterno Notte si cuce addosso un’altra stella alla voce “venerato maestro”, porta a casa il risultando, amplificando a dismisura la riflessione religiosa sottesa a tutta la sua arte. Sotto tanti aspetti, in un percorso all’insegna di un autorialismo spesso radicale e intransigente, Esterno Notte si configura nell’opera bellocchiana come una nuova, personale vetta di abbagliante limpidezza popolare.

Foto: The Apartment, Kavac Film, Rai Fiction, Arte France

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