Far East Festival 2012, i primi film: Sunny e The Man Behind the Courtyard House

Una dramedy coreana e un horror cinese hanno aperto la rassegna: ve li raccontiamo in diretta da Udine

È iniziata con l’accorato, intelligente appello della sua storica genitrice e padrona di casa Sabrina Baraccetti l’edizione numero 14 del Far East Film Festival di Udine, che vi abbiamo presentato nei giorni scorsi anticipandovi anche alcuni dei titoli più attesi. Un appello per la non dispersione di un patrimonio culturale ormai consolidato della Città e della Regione – ma non solo – la cui sopravvivenza, a causa della crisi, si fa di anno in anno sempre più incerto.
Il bello è che nonostante questa endemica, inguaribile incertezza, di anno in anno il Festival si fa sempre più vitale, quasi che i dubbi si trasformassero in vitamine: la serata inaugurale, preceduta dal consueto buffet, e stata infatti, se possibile, ancor più affollata, colorata e rumorosa del solito.

Poi sono iniziati i film. L’apertura è stata affidata al sudcoreano Sunny, di Kang Hyung-chul, blockbuster da sette milioni di spettatori in patria. Una dramedy a cavallo dei decenni che segue un gruppo di sette amiche dall’epoca dei banchi di scuola fino a un presente in cui una di loro – malata di tumore – esprime il desiderio di una rimpatriata. Il film è un melò pop tutto al femminile che miscela siparietti semi-farseschi da college movie a parentesi più adulte e introspettive, vestendo entrambe di una confezione brillante, aiutata anche da una irresistibile colonna sonora anni ’80.

Del secondo film della serata inaugurale, il brutale Hard Romanticker, ambientato tra le gang dei ghetti nordcoreani delle periferie giapponesi, vi abbiamo già parlato nello speciale sui film del Giappone.

La seconda giornata di proiezioni si è invece aperta con il thriller-horror cinese The Man Behind the Courtyard House, miscela assolutamente bizzarra di slasher, dramma sentimentale e persino commedia “danzante”. Il film inizia come il più classico degli horror backwoods, con un gruppo di ventenni in gita tra i boschi che finisce nelle grinfie di un uno psicopatico. La formula all’inizio è quella classica del bodycount, con i ragazzi che uno dopo l’altro cadono vittime del serial killer. Se non fosse che tutto procede troppo velocemente, e dopo 40 minuti il film sembra già finito. E infatti a quel punto ricomincia, con un sorprendente cambio di tono e di… “tempi”. Dire di più sarebbe spoilerare, ma in pratica l’obiettivo dello script è quello di non ridurre il villain al rango di semplice macellaio, ma di capirne motivazioni e origini. Peccato solo per una regia che sarebbe eufemistico definire naive, piena di ralenty, zoom ed effetti sonori che sembrano usciti da una puntata di Scooby-Doo (viene a tratti il sospetto che si tratti di una scelta consapevole, ma probabilmente è solo un sospetto): spaventarsi è impossibile.

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