Festa del Cinema di Roma, ecco Meryl Streep: “Non sono un monumento”

La diva americana vincitrice di tre Oscar ha incontrato la stampa e il pubblico in due affollatissimi incontri, dispensando grandi emozioni

Me-ryl… Me-ryl… Me-ryl!

Come allo stadio, tutti in piedi e battimano, il pubblico in Sala Sinopoli accoglie con un coro Meryl Streep. L’applauso è una forma di gratitudine, il debito contratto con i più grandi. Nel suo caso non sono solo i ruoli al cinema, ma un’idea di integrità, una benevolenza quasi monacale che si spezza nella robustezza del fisico e delle parole. “C’è questo monumento che mi precede e ogni volta devo smantellare. A volte mi crea qualche complicazioni con i colleghi sul set. Ma poi dimentico una battuta o sbaglio posizione, e allora tutti si accorgono che non sono brava quanto si immaginavano, e le cose vanno a posto”.

Della Streep si percepisce proprio questo, adesso, a valle di tante interpretazioni memorabili e di tanti premi: la potenza del corpo scenico. Nelle clip proiettate all’incontro pubblico di ieri, vediamo i salti sul letto e il tuffo a bomba alla fine di Dancing Queen in Mamma Mia. Il vestito rosso contro le pareti verdi, e poi il prato e i campi, mentre insegue Clint Eastwood fuori casa nei Ponti di Madison County. La rigidità tenace di Margaret Thatcher, la Iron Lady del film omonimo, una donna politicamente così distante da lei “E tuttavia… E tuttavia… E tuttavia…” – dice tre volte con consumata teatralità – “così vicina nel momento in cui è stata vittima di quell’ostilità che tutte noi (donne, ndr) abbiamo provato quando ci siamo trovate in contesti in cui gli uomini non erano abituati a vederci”.

Lei veste un abito con i pantaloni, tutto verde smeraldo, e ha i capelli sciolti, concessione all’atmosfera di gala della serata. Ma porta comunque gli occhiali – occhiali da vecchia prof -, come era accaduto in mattinata all’incontro con i giornalisti, quando invece i capelli erano raccolti e addosso aveva una specie di tunica colorata.

Risponde alle domande con cautela e lentezza, la stessa che – dice – ha suggerito a Hillary Clinton: “Fai in modo che ti ascoltino per quello che dici, non perché lo dici ad alta voce”. Alle volte in realtà non sai decidere se abbia finito di rispondere o cerchi ancora altre parole, allora attendi qualche secondo in più, e spesso aggiunge dell’altro. Oppure si mette a recitare con sfacciataggine, come quando si accascia sulla poltrona imitando i ragazzini che guardano i film sugli smartphone: ogni volta si ricompone con una risatina.

Quando le chiedono delle prime attrici che l’hanno ispirata, ricorda “Silvana Mangano, Anna Magnani e Simone Signoret, creature esotiche per una ragazzetta provinciale del New Jersey come ero io. La Magnani la vidi per la prima volta in Pelle di serpente, assieme a Brando: un’emozione da restare attaccata al muro.” Oggi invece “mi piace la Rohrwacher, mi pare abbia la stessa purezza”.

L’ultima domanda è se da piccola volesse cantare: lei racconta che per un po’ prese lezioni di canto, ma “In realtà volevo fare la cheerleader… Ero un’idiota!”. E finisce così l’incontro, fingendo di grattar via un altro po’ di quell’aura di santità che la circonda, perfettamente consapevole di alzare ancora il piedistallo.

Foto: Getty Images

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