Festival di Roma 2010: Rabbit Hole

Nicole Kidman ed Aaron Eckhart sono una coppia che deve fare i conti con la perdita di un figlio

Per vedere una Nicole Kidman di nuovo convincente, c’è stato bisogno di un film indipendente come Rabbit Hole. Nicole ed Aaron Eckhart (Il cavaliere oscuro, Thank You for Smoking) sono Becca e Howie, coniugi che hanno da poco perso tragicamente il loro unico bambino.

Rabbit Hole ha il merito, dal punto di vista narrativo, di non mostrare – come di solito accade – il prima ed il dopo, l’idillio, la tragedia e le conseguenze. All’inizio del film sono passati otto mesi dall’incidente e Becca e Howie stanno tentando, invano, di rimettere insieme i pezzi. La terapia di gruppo non funziona, gli amici non sanno come comportarsi, i parenti peggiorano le cose. Howie e Becca possono contare solo sul sostegno reciproco. Quando i due percorsi di accettazione si scoprono essere opposti (Becca vuole disfarsi degli oggetti del figlio, Howie vuole tenerli), tra i due si scava un solco profondissimo. La rappresentazione del dolore è convincente grazie alle prove di due attori ottimi. Nicole Kidman, pur sfigurata definitivamente dalla chirurgia plastica, abbandona la chioma biondo platino per un colore più naturale, che la rende umana e credibile nel ruolo di madre e moglie. Aaron Eckhart si sta dimostrando uno degli attori più versatili e convincenti degli ultimi anni, il suo Howie è un uomo distrutto che cerca una via d’uscita per salvare la famiglia, oltre che se stesso. Due prove d’attore intense, su cui il film si poggia forse troppo.

Ovviamente, il paragone con un film come La stanza del figlio è inevitabile. Rabbit Hole, rispetto al film di Nanni Moretti, manca di una certa autenticità, concentrandosi troppo sulla dinamica interna della coppia e poco sugli effetti che una tale tragedia ha su tutti gli aspetti della vita, cosa che invece in La Stanza del Figlio riesce perfettamente. E’ come se il cinema americano non riuscisse mai a convincere del tutto quando deve giocare sull’emotività e sulle sfumature. Analogo problema, in questo festival, lo ha rimarcato ad esempio Let Me In di Matt Reeves, che pur essendo praticamente una copia carbone di Lasciami entrare, non riesce a trasmettere allo stesso modo la delicatezza e la profondità della storia.

A parte una certa freddezza di fondo, però, Rabbit Hole resta un’ottima prova per due attori splendidi, che dovrebbe essere visto in lingua originale per essere apprezzata a pieno.

Guarda il trailer di Rabbit Hole

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Nella foto, il red carpet di Aaron Eckhart, per nulla scoraggiato dalla pioggia battente (foto Guido Villa)

Aaron Eckhart

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