«Vorrei diventare bravo come Valerio Mastandrea». La parola al protagonista di Slam – Tutto per una ragazza

Il giovane Ludovico Tersigni, nei panni del protagonista Samuele nel nuovo film di Andrea Molaioli, ci racconta l'esperienza sul set, le sue prime prove d'attore, il rapporto con Jasmine Trinca e Luca Marinelli e il suo modello per eccellenza

Ludovico Tersigni

A dialogare con Ludovico Tersigni, attore ventunenne protagonista del nuovo film di Andrea Molaioli Slam – Tutto per una ragazza (che esce al cinema domani), si respira l’irruenza contagiosa e l’energica purezza di un giovanissimo interprete che ha fatto il suo ingresso nel cinema italiano dalla porta principale, mettendosi in luce sotto gli occhi vigili di Diego Bianchi, Gabriele Muccino e proprio del regista de La ragazza del lago, nel suo primo ruolo da protagonista assoluto. Con Ludovico, spigliato accento romano e la voglia incontenibile di raccontare e raccontarsi, abbiamo parlato di Slam, tratto dal romanzo omonimo di Nick Hornby e in uscita nelle sale italiane il prossimo 23 Marzo, ma anche delle sue prime esperienze come attore, viste con gli occhi di un ragazzo attento e lanciato.

Come hai ottenuto la parte di Samuele?

Il mio agente mi aveva proposto il provino, che ho affrontato con un misto di ansia e di speranza. Con Andrea Molaioli ho fatto un primo incontro più superficiale di una decina di minuti, poi dopo un paio di settimane mi sono state inviate due scene più lunghe. Infine, il terzo provino, quello con Jasmine Trinca e Barbara Ramella, è stato quello decisivo ed è durato addirittura 8 ore! Andrea mi ha chiamato per dirmi che il personaggio era mio e ho iniziato ad allenarmi allo skateboard per due mesi e mezzo. Una sfida parecchio impegnativa per me, che non avevo mai fatto né skate né sport da tavola in generale.

Conoscevi il romanzo? Cosa ti è salto all’occhio leggendo il libro di Nick Hornby che ha ispirato il film di Andrea? 

Andrea mi ha ovviamente raccomandato di leggerlo e nell’adattamento che ne hanno fatto gli sceneggiatori (Francesco Bruni e Ludovica Rampoldi, ndr) ho notato qualche differenza, ad esempio l’ambientazione, spostata da Londra a Roma. Alcune piccole cose cambiavano, come certi dialoghi capovolti o delle scene spostate o non incluse, immagino per una questione di tempo. Trovo tuttavia che sia un film abbastanza universale, siamo riusciti ad assottigliare la distanza dalla realtà anglosassone ed è un lavoro che poteva essere benissimo francese, tedesco, spagnolo. Si trattava di un evento umano, la gravidanza indesiderata di Samuele e Alice, da comunicare a prescindere.

 Com’è stato immergersi nel mondo dello skate in maniera così impegnativa?

A Roma non c’è una grande cultura di skateboarding, si fa poco e male e i parchi pubblici dove magari si pratica sono senza manutenzione, per cui puoi rischiare di farti male sul serio. Si tratta però di un fenomeno contagioso e acrobatico, dal dinamismo magico. In soli due mesi di allenamenti il mio allenatore ritiene di aver fatto un vero miracolo, insieme abbiamo costruito dei percorsi e poi li abbiamo proposti ad Andrea, che ne ha selezionati sei o sette. Alcune scene di skate non ci sono nel film, ma le mie evoluzioni sono assolutamente da professionista. Non potevo diventarlo davvero in così poco tempo, o tantomeno tentare i trick alla Tony Hawk, che è così importante per il film e per il romanzo, e quelli della old school, ma era fondamentale avere una buona confidenza con la tavola e un altissimo grado di familiarità.

Tu hai lavorato con Diego Bianchi, Gabriele Muccino e adesso con Andrea Molaioli. Dei registi diversissimi tra loro. Sarebbe bello se ci parlassi di queste esperienze singolarmente, descrivendole nel dettaglio. 

Con Diego sul set c’era una libertà totale, come regista era estremamente aperto a consigli degli attori e rimaneggiavamo la scena tutti insieme. Ho lavorato con attori di mestiere come Lorenzo Gioielli, Francesco Acquaroli, Luciano Miele e Antonella Attili, interpreti solidi e con una carriera alle spalle che mi hanno dato molti consigli. Quello di Arance & Martello è stato un set fondato moltissimo sullo scambio reciproco, colorato e frizzante, sempre pieno di idee e di risate. Si scherzava dalla mattina alla sera, il clima era molto disteso e sembrava di stare non solo in vacanza ma anche tra amici.

Con Muccino ne L’estate addosso è stata un’esperienza molto diversa. Io me ne stavo lì impacciato e quasi in soggezione, dati il peso di Gabriele come regista, la sua esperienza internazionale e il suo carisma. Il mio personaggio in quel caso era un “gaggio”, come ci diceva Laura Muccino ai casting e come si dice a Roma, uno che fa tanti sorrisoni e non è mai in difficoltà. Per cui puoi capire la mia situazione, visto che non sapevo bene cosa fare e dovevo ostentare sicurezza, quando in realtà non ero sicuro per niente. La notte prima di girare con Gabriele, per rendere l’idea, non riuscivo nemmeno ad addormentarmi. Lui mi ha molto ripreso da questo punto di vista e mi diceva di sentirmi libero, di prendere i suoi consigli per quello che erano ma poi di sguinzagliarmi, anche perché se avessi esagerato mi avrebbe detto lui di diminuire. Dagli attori, in quanto tali, Gabriele vuole essere stupito in prima persona, pretende che gli diano qualcosa.

Con Andrea si è trattato di un lavoro ancora più puntuale, attento ai dettagli e dai tempi più severi. Il mio personaggio era già scolpito e caratterizzato a grandi linee prima di iniziare a girare. Andrea aveva già chiaro in testa come doveva essere il personaggio, per cui si trattava solo di selezionare degli aspetti singoli da trasformare in punti di forza. Sul set di Slam ho imparato a stare zitto e al posto mio, a essere composto e un po’ più professionale. Andrea mi diceva sempre di non esagerare con le battute perché il mio personaggio di suo è abbastanza pensieroso e riflessivo, ha un mood sommesso ed è molto in balia degli eventi.

Come ti sei trovato con la tua partner femminile, Barbara Ramella, che interpreta Alice?

Siamo molto diversi ma questa diversità ci ha aiutato sul set, facevamo entrare in campo un reciproco senso di sopravvivenza, confrontando le nostre insicurezze. Durante i provini eravamo due ragazzi qualsiasi ma poi pian piano siamo diventati colleghi e sono contentissimo oggi di potermi ritenere suo amico.

Con lei il tuo personaggio instaura una sorta di delicato e instabile equilibrio comico-romantico. Si tratta di una cifra che hai inseguito consapevolmente?

Assolutamente, anche perché il mio personaggio ha un umorismo un po’ stupido che deriva dalla contrapposizione dei caratteri e fa diventare divertente la situazione. Anche con Barbara si alleggeriva spesso la tensione attraverso lo scherzo, senza per questo ricercare la battutona.

Che esperienza è stata al fianco di Jasmine Trinca e Luca Marinelli, che nel film sono addirittura i tuoi genitori? 

Sono stati più che due genitori sul set, rispettivamente un fratello maggiore e una sorellona. Mi sono trovato spesso a chiedere loro dei consigli, mi rispondevano e io pensavo tra me e me: questa è la risposta migliore che potevo ricevere. Ho imparato tantissimo da loro e durante le scene con Jasmine e Luca mi ritrovavo ad essere attore e spettatore allo stesso tempo, perché subentrava l’ammirazione, la voglia di rubare da loro.

C’è un attore italiano che ritieni un modello da seguire per la tua carriera?

Valerio Mastandrea per me è il più forte. Il suo tipo di recitazione, mai ostentata e sempre sotto le righe, è davvero ammirevole. Spesso nel cinema italiano si sfocia nella macchietta da commedia brillante, invece trovo che si possa far sorridere e pensare senza strafare. Valerio è uno dei migliori, anche per il rapporto che ha con il suo lavoro e per la passione che ci mette.

C’è un cinema che apprezzi particolarmente? 

La prima volta che ho visto Matrix dei fratelli Wachowski è stata una folgorazione. Dei registi italiani mi piace molto Ferzan Ozpetek. Ma la visione di Non essere cattivo, più di recente, è stata per me una botta emotiva senza precedenti.

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