Il Festival di Berlino 2019 apre con The Kindness of Strangers, un inno alla compassione

Il Festival si apre con The Kindness of Strangers, una pellicola che celebra il senso di comunità e la solidarietà tra gli ultimi… in un gelido inverno newyorkese

Clara è una donna in fuga. Una madre decisa a mettere in salvo i suoi figli dal marito poliziotto che, dopo essersela presa con lei, ora picchia anche i bambini. Ha poco o nulla con sé, ci sta tutto nell’auto in cui i tre sono costretti a dormire, vagando per le strade di una città in cui il contrasto tra i luoghi del lusso e la miseria di molti è evidente.

Clara (Zoe Kazan) cerca di presentare ai figli quella fuga come una vacanza, li porta alla Biblioteca, procura loro del cibo intrufolandosi nelle feste e nei grandi alberghi, ma la loro avventura finirebbe male se non incontrassero una serie di persone disposte ad aiutarli. L’infermiera Alice (Andrea Reseborough), che si divide tra l’ospedale, una mensa per i poveri e un gruppo di sostegno che insegna a perdonarsi, l’ex carcerato Marc (Tahar Rahim), che dice di non sopportare la gente, ma poi non può fare a meno di essere generoso, e poi Jeff che non sa tenersi un lavoro (Caleb Landry Jones), sotto l’ironico sguardo di Timofey (Bill Nighy), proprietario di un ristorante russo che di russo ha solo un brutto accento…

È questa la costellazione di personaggi che popolano con discrezione il film scritto e diretto da Lone Scherfig (An Education), The Kindness of Strangers, già alla Berlinale 18 anni fa con Italian for Beginners.

© Per Arnesen

«Era il primo anno della direzione di Dieter Kosslick – ricorda la regista – e la prima Berlinale per me. Kosselick (che quest’anno, prima di lasciare la direzione riceverà un riconoscimento ufficiale dal Festival, ndr) ha fatto un ottimo lavoro in questi anni e sono contenta di tornare proprio quest’anno».

A chi le chiede quanto ci sia di politico in questo dramma che non rinuncia a momenti di leggerezza e romanticismo la Scherfig risponde proprio citando il quasi ex direttore: «Ha detto che il privato è politico, io vi dico che nessuno dei miei personaggi è politico, nessuno esprime una visione politica, ma ovviamente per me quello che metto in scena ha un significato. Puntare l’attenzione su ciò che può dare speranza, sul senso di comunità, sulle persone che danno agli altri per me è importante. Volevo fare un film che avesse un’urgenza rispetto all’oggi»

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Per farlo l’autrice ha fatto molte ricerche sulla realtà degli emarginati nelle grandi città (non solo New York, ma anche in Canada) scoprendo che oltre alla tragedia di chi rimane senza nulla, c’è anche la realtà di un tessuto di organizzazioni spontanee che assistono i più poveri. «Ho voluto celebrare la gentilezza e la compassione perché credo che siano l’unica possibilità di raccontare un happy end autentico»

Le fa eco la Reseborough «Serve un’iniezione di purezza » e il resto del cast, primo tra tutti Tahar Rahim convinto che il messaggio del film stia in personaggi che, a prescindere dalle cose terribili che gli sono capitate (e un po’ tutti nel film hanno un pesante bagaglio da portare…), trovano la forza di aiutare, di aprirsi.

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Bill Nighy, che del film è anche produttore esecutivo, è ancora più esplicito e, verrebbe da dire, politico…«è un film che sottolinea ciò che unisce le persone, invece di ciò che le divide. Prejudice doesn’t survive proximity, si diceva una volta. Ci sono stati tanti esempi in passato di convivenza possibile tra persone diverse per etnia, religione, usi… finché qualcuno non le convince a mettersi l’una contro l’altra».

Zoe Kazan si sofferma più sul lavoro fatto per entrare nel suo personaggio, che ha voluto farsi diventare completamente familiare prima di arrivare sul set. «Con una regista come Lone, che è anche sceneggiatrice, il lavoro inizia dallo script. Non abbiamo avuto molto tempo per provare, ma molto per parlare e approfondire il personaggio. Ho voluto approfondire la storia di donne come Clara, maltrattate e in fuga per cercare di dare verità».

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Inaspettatamente il film offre anche momenti di leggerezza, legati anche e soprattutto al fatto che una parte della storia si svolge in un ristorante russo (che si vorrebbe sofisticato, ma invece è volutamente kitsch), il Palazzo d’Inverno, dove il taciturno Marc e lo svagato Timofey danno vita a siparietti molto divertenti.

E così tra impegno e poesia, la gentilezza di Lone Scherfig apre il festival con l’intento di «far pendere almeno un po’ la bilancia dal lato giusto…».

Foto: Courtesy of Berlinale 2019/ © Per Arnesen

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