Jurassic World, tornano gli anni ’90. La nostra recensione

Il parco ha riaperto, stavolta al pubblico. Ma il nuovo film, rispetto al capolavoro del 1992, non ha cambiato granché. Per fortuna

Vent’anni dopo la disastrosa visita di prova organizzata da John Hammond per i suoi nipoti, un paleontologo, una paleobotanica e un matematico, il parco ha riaperto, questa volta al pubblico. Stavolta tutto fila liscio, anche troppo, tanto che i sondaggi dicono che l’hype è in calo: come per qualsiasi terra dei divertimenti, si chiami Gardaland o Jurassic World, ogni due anni servono nuove attrazioni. In questo caso nuove attrazioni significa nuovi dinosauri, ma finiti quelli messi a disposizione da Madre Natura tocca ricorrere all’ingegneria genetica. Nasce su queste basi l’Indominus Rex, mega-dinosauro femmina, un ibrido con la pelle bianca e una serie di abilità che sorprendono i suoi stessi creatori. Per quanto reggerà stavolta il recinto?

Puro cinema anni ’90, imbevuto del senso morale da Vecchio Testamento di Steven Spielberg, che manda al macello (non portate i bimbi troppo piccoli), come ormai non si usa più, guerrafondai e capitalisti senza scrupoli, e trasforma ogni incidente in un puntello al senso della famiglia e della collettività. A parte questo, la sfida del film è la stessa del parco, cioè suscitare di nuovo meraviglia in piena parabola discendente del cinema digitale, quando ormai tutto è stato creato e visto proprio a partire dai dinosauri, e si comincia a ragionare in termini di immersione e interattività. Su questo piano il film è un po’ carente, la nuova creatura assomiglia troppo a un T-Rex, e le parti migliori riguardano le zone di immaginario preistorico ancora inesplorate, quindi la piscina con lo squalo gigante – già svelata nel trailer – e il recinto con i dinosauri cuccioli per far divertire i bambini.

Per il resto la costruzione della storia viaggia su snodi che sono la copia carbone del film del 1993, esplicitamente citato in più di una scena: SPOILER dall’evasione del predatore, alla veglia al dinosauro ferito; dal salvataggio dei bambini, agli embrioni trafugati e usati come merce di scambio. L’unico spunto nuovo sono i velociraptor addomesticati, ed è molto bella la prima scena in cui il personaggio di Chris Pratt li governa. Da lì matura l’idea di una possibile alleanza tra uomini e dinosauri che porta a un finale ancor più cinefilo di tutto il resto (c’è anche un lungo omaggio agli Uccelli di Hitchcock), con lo scontro tra la vecchia e la nuova guardia, ovvero tra due immaginari e generazioni FINE SPOILER.

Visto comunque con questo spirito, come un remake più che come un sequel, Jurassic World svolge il suo compito per bene: è ancora, in fondo, un horror eco-vengeance, ed è ancora quella la sua forza, l’aver trasformato un genere di nicchia in un brand popolare attraverso l’esplorazione di un immaginario fanciullesco. I bambini urlano, ma non ne hanno mai abbastanza. E, ad essere onesti, nemmeno noi.

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