La casa di Jack, Matt Dillon all’inferno con Lars von Trier: «Il mio serial killer, un artista fallito»

L'attore in Italia per raccontare la paura e l'eccitazione nel lavorare da protagonista nell'ultimo film del discusso regista danese, accanto al compianto Bruno Ganz

La casa di Jack

La casa di Jack, presentato all’ultimo Festival di Cannes col titolo originale The House That Jack Built, è il nuovo film di Lars Von Trier, che arriverà finalmente nelle nostre sale il prossimo 28 febbraio, in 120 copie, distribuito da Videa (l’uscita, posticipata, era inizialmente prevista per lo scorso novembre). Protagonista è il Jack del titolo, interpretato da un luciferino Matt Dillon, serial killer che racconta di aver ucciso decide e decine di persone e ripercorre le tappe più significative della sua “carriera” da massacratore.

L’attore è sbarcato a Roma questa mattina, nel giorno del suo cinquantacinquesimo compleanno, per raccontare alla stampa italiana alcuni dettagli della sua esperienza al fianco del celebrato, controverso regista danese, che ha suscitato ancora una volta polemiche e discussioni e spaccato in due la ricezione della sua opera. «Il mio Jack è uno psicopatico, una persona cui manca completamente l’empatia – esordisce Dillon – una ragione per cui lo potremmo definire anche un artista fallito. Per me è stato difficile immedesimarmi in certe sequenze, specialmente quelle in cui le donne che ammazza lo supplicano di non farlo. Poi ho capito che non dovevo giudicarlo dal mio punto di vista di essere umano, non mettere tra me e lui dei filtri intellettuali».

Accettare la parte, anche in virtù di un argomento così scivoloso e delicato, per l’interprete di Drugstore Cowboy e della serie tv Wayward Pines non si è rivelata affatto una scelta semplice né immediata. «Ho avuto forti dubbi prima di dire di sì, ma mo sempre ammirato Lars e ho voluto fare questo film perché sapevo di imparare qualcosa da lui. Mi ha detto che come regista si assume sempre la responsabilità dei film che fa ed è vero. Trovo anche che faccia bene a farlo, visti i suoi film! Con lui senti la libertà e la possibilità di sbagliare e di fallire, che è molto importante da un punto di vista creativo e professionale. Se vuoi fare qualcosa di bello devi correre dei rischi, non c’è alternativa. Non a caso le performance degli attori nei film di Lars sono sempre fantastiche, a prescindere da quello che si può pensare delle sue singole opere».

Matt Dillon ne La casa di Jack

Secondo Dillon la forza di von Trier è anche nel metodo, nella capacità di organizzare il caos e di trarne vantaggio. «Con lui non abbiamo mai fatto prove prima di girare, è il suo modo di lavorare e di portare avanti il processo creativo. Stellan Skarsgård, attore che aveva già avuto modo di collaborare con lui, mi aveva parlato di questa sua maniera di agire, fedele a un detto danese secondo il quale bisogna “ricordarsi di tenere le cose incasinate”. Lars è un regista tecnicamente preparatissimo, ma prima di ogni altra cosa a interessarlo sono i suoi personaggi. Anche quando monta i film asseconda tutto il suo amore per loro e lo fa in modalità estremamente autentiche e non convenzionali. Quando ho chiesto a Lars perché volesse raccontare questa storia mi ha risposto che il protagonista è la persona che sente più vicina a lui, a parte il fatto che Lars non uccide la gente!».

La casa di Jack è ambientato a Washington e proprio un progetto di nome Wasington, non a caso, avrebbe dovuto chiudere la “trilogia americana” di von Trier iniziata con Dogville nel 2003 e proseguita con Manderlay due anni dopo, ma mai portata a termine per varie ragioni. «La cosa curiosa è che Lars è continua a fare film sull’America, senza esserci però mai stato! In America questo film è già uscito e i fan di Lars si sono precipitati subito a vedere la versione director’s cut arrivata al cinema per pochi giorni, con molta eccitazione e curiosità per il loro beniamino. Non è poi così diversa dalla versione censurata, sostanzialmente è lo stesso film, ma contiene qualche elemento di violenza grafica in più. In generale non sono un grande fan della censura, però…».

A Cannes si fece un gran parlare, in maniera più o meno pretestuosa, delle persone che sarebbero uscite dalla sala sconvolte poco dopo l’inizio della proiezione, letteralmente tramortite dalla visione. «Con Lars ci si divide sempre tra chi lo ama e chi ne resta turbato e scioccato e in questo caso c’è tantissima ironia dark, che chi non lo conosce bene magari apprezza meno di quanti padroneggiano già il suo universo – osserva Dillon – Temevo la reazione negli Stati Uniti, ma è anche vero che poi accendi la tv e ti ritrovi al cospetto di scene e situazioni molto più forti di quelle che raccontiamo nel film. Una cosa però è certa: Lars vuole che la sua violenza non sia accomodante e che non metta lo spettatore a suo agio. Deve essere digerita, ha bisogno di sedimentazione. Il finale del film poi è molto morale e ha a che fare con la religione, tema dal quale Lars è letteralmente ossessionato…».

Ne La casa di Jack al fianco di Matt Dillon, oltre a Uma Thurman, c’è anche l’attore svizzero Bruno Ganz, scomparso da poco. «Sono molto triste per la sua morte e mi sento fortunato ad aver avuto l’opportunità di lavorare con lui. Ne La casa di Jack Bruno è un Virgilio che fa da guida al mio viaggio all’inferno, letteralmente. Ero terrorizzato dall’idea di rivedere il film con Lars in Danimarca, anche se lui ci teneva molto, per una serie di impegni e di incastri non ce l’ho fatta e ne sono stato sollevato. Bruno però riuscì a vederlo prima di me e mi disse che era sicuro che sarei stato fiero e orgoglioso della mia interpretazione. Alla fine, tornato a Copenhagen, ho visto davvero il film con Lars e gli ho detto che mi è era piaciuto. Non sono sicuro di aver fatto la cosa giusta, però: non gli piace per niente quando le persone sono d’accordo sui suoi film, è fatto così!».

Bruno Ganz e Matt Dillon ne La casa di Jack

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