Più dark, ma ancora più travolgente e titanico. La recensione di Fast & Furious 8

Dopo l'addio a Paul Walker, la saga riparte ancora una volta a mille all'ora: la famiglia, la paternità di Dom Toretto e una luciferina villain femminile interpretata da una letale Charlize Theron

Dom (Vin Diesel) e Letty (Michelle Rodriguez) sono in luna di miele a Cuba e la squadra sembra aver trovato la serenità tanto a lungo inseguita. Una nuova minaccia non tarderà però ad arrivare e avrà il volto di Cipher (Charlize Theron), una spietata cyberterrorista che irromperà nella vita di Toretto portandolo tra i suoi ranghi e strappandolo ai suoi affetti e ai proprio compagni di sempre, con la tentazione di una vita priva di responsabilità, da vivere esclusivamente in apnea e in funzione dell’ebbrezza delle super car.

Era impossibile dimenticare il finale di Fast & Furious 7, con Brian O’Conner, il compianto Paul Waker, che usciva di scena per l’ultima volta a bordo della sua Toyota Supra, scegliendo una vita diversa, da padre di famiglia lontano dalla sfrenate e sregolate corse automobilistiche, insieme alla sua compagna Mia. Un addio che bagnava gli occhi e faceva sussultare il cuore, oltre a porre nuovamente l’accento sul concetto di famiglia, uno dei pilastri portanti dell’intera saga, sul quale lo stesso Toretto non si stanca mai di tornare («Salud mi familia!»).

Se il settimo capitolo era un canto funebre e uno spasmodica lettera d’addio (e d’amore) a Paul Walker, l’ottavo capitolo, che vede F.Gary Gary rimpiazzare l’ottimo James Wan all regia, riprende la vitalità rombante della saga e la sua forza testosteronica, ma la sensazione che si ha davanti a questo sfrenato e supersonico b-movie da due ore e venti, ennesimo capitolo di un franchise tenace e puntualmente tirato a lucido, è che la morte al suo interno non sia passata certo invano, segnando le vite dei singoli personaggi in maniera lampante e inevitabile.

È non a caso, ma non in maniera del tutto prevedibile, un film più cupo del previsto, Fast & Furious 8, nonostante la consueta ironia, i siparietti esplosivi tra Dwayne “The Rock” Johnson, Kurt Russell, nuovamente alle prese con l’irresistibile signor Nessuno, e Jason Statham, in questo caso una presenza più che mai sorniona e funambolica. Ma è il corpo ancora una volta indistruttibile e scultoreo di Vin Diesel ad occupare il centro della scena, anche se alle prese, mai come in questo caso, con dei fantasmi che fanno rima con la paternità, il senso di responsabilità, il sopraggiungere di una nuova fase della vita dopo la quale niente potrà essere più come prima.

La sceneggiatura di Chris Morgan fa triangolare tutte le donne della vita di Toretto e aggiunge, alla Elena di Elsa Pataky e alla ovvia Letty di Michelle Rodriguez, una criminale informatica di caratura internazionale, in grado perfino di scardinare le resistenze di Anonymous e di hackerare qualsiasi sistema presente in rete, che ha il volto ma soprattutto le treccine bionde di una Charlize Theron luciferina e psicopatica. L’ingresso dell’attrice sudafricana nel franchise delle corse automobilistiche infuocate non delude e fornisce ai fan della saga una villain tutta al femminile che spinge l’ottavo capitolo verso un’estetica da film di supereroi ancor più eccitante ed elettrizzante del solito, con più di una componente oscura e adulta relativa ai concetti di colpa, ritorsione e vendetta. Niente di nuovo sotto il sole, ma ogni tassello dello spettacolo è esattamente al posto che dovrebbe occupare e il quadro finale ne guadagna in forza, tenuta, senso dello spettacolo.

La voce interiore di Toretto, in balia di Cipher, è il cuore pulsante della sceneggiatura di Chris Morgan, che spinge il pedale dell’acceleratore sulle zone d’ombra del personaggio, intorno alle quali prende vita un action movie di entità e proporzioni ancora una volta mostruose e in grado di lasciare a bocca aperta: se già nel settimo capitolo si era fatto tantissimo in termini di coreografia e sospensione dell’incredulità (si pensi alla scena ambientata nel Caucaso), le sequenze d’azione dell’ottavo episodio della saga iniziata da Rob Cohen nel lontano 2001, divise tra Cuba, in apertura (un segno dei tempi, sulla scia della “fine” dell’embargo), New York e la Russia (un finale semplicemente da urlo), con distese ghiacciate monumentali e a perdita d’occhio, non sono certo da meno e toccano degli apici ancor più supersonici.

Pare davvero difficile fare più di così, a meno di non spostare il film nello spazio, come lo sceneggiatore Chris Morgan tra l’altro ha non a caso suggerito. Sarebbe l’approdo naturale di una saga futurista e umanista insieme, in grado di bilanciare come meglio non si potrebbe mostruosità, titanismo e malinconia, elegia degli affetti e orgia dei sensi. Rigorosamente a mille all’ora, un quarto di miglio alla volta.

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