Rogue One, ovvero come fare un film perfetto, ma senza scene memorabili

Lo spin-off della saga di Star Wars firmato da Gareth Edwards rappresenta l’apice dello stile Disney di questi anni: prodotti formidabili, ma con una confezione così omogenea che ricordarsene i dettagli non è semplice

Il cast di Rogue One: A Star Wars Story

Da febbraio 2016, Roberto Recchioni (fumettista e romanziere, oltre che curatore di Dylan Dog per la Sergio Bonelli Editore) firma su Best Movie A scena aperta, rubrica in cui svela i segreti delle scene più belle dei film disponibili in home video.

È notte fonda e sto scrivendo questo pezzo con due giorni di ritardo sulla consegna stabilita. La ragione è presto detta: questo mese la rubrica mi ha messo in una certa difficoltà. Quando, come di consuetudine, il direttore Viaro mi ha proposto la lista mensile di film tra cui scegliere, tra quelli in uscita in home video, non ho avuto alcun dubbio nel dare la mia preferenza a Rogue One: A Star Wars Story, perché il film mi è piaciuto molto e perché ho riflettuto sul fatto che Gareth Edwards è un regista fortemente visivo e che avrei avuto l’imbarazzo della scelta nel dover selezionare una sequenza interessante da prendere in analisi. Solo che quando mi sono messo a scrivere, non me n’è venuta in mente nessuna.

Mi sono detto che era un problema mio e del fatto che sto invecchiando, e ho rivisto il film. Così ho scoperto con un certo stupore che il fatto di non riuscire a individuare una scena visivamente memorabile da potervi raccontare non dipendeva da me, ma dal fatto – sorprendente – che non ce ne sono. Cioè, ce n’è una, dura pochi secondi, ed è alla fine del film (se lo avete visto sapete di cosa parlo, se non lo avete visto, non ve lo spoilero). Sia chiaro, non sto dicendo che ho cambiato il mio parere sulla pellicola: continuo a pensare che Rogue One sia esattamente lo Star Wars di cui i fan 40enni come me avevano bisogno, solo che mi sono accorto che la ragione per cui mi è piaciuto non risiede in una regia significativa. Il che è strano perché se ripenso anche al solo Godzilla di Edwards, mi vengono in mente almeno tre e quattro momenti che mi sono rimasti impressi nelle retine. Anzi, a dirla tutta, la capacità di Edwards di creare immagini potenti ed evocative è proprio il tratto distintivo che me lo ha fatto amare come regista sin dai tempi di Monsters.

Diego Luna e Felicity Jones in una delle scene finali di Rogue One

Poi ci ho pensato un momento e mi sono reso conto che, ultimamente, quello di Rogue One non è un caso isolato e che ci sono altri film che mi sono piaciuti molto e diretti da registi che stimo, che non mi hanno però lasciato nulla da ricordare in maniera particolare. I Guardiani della galassia di James Gunn, per esempio. O Captain America: Civil War dei fratelli Russo. Il libro della giungla di John Favreau. E allora ho capito il filo comune: sono tutti film della Disney. Adesso non prendetemi per uno di quelli che odia la multinazionale del topo: a me la Disney piace e ho una stima enorme per i talenti che ci lavorano, però ho come l’impressione che negli ultimi anni abbiano trovato una specie di formula magica per creare film molto ben fatti, assolutamente appaganti, ma senza acuti sotto il profilo estetico. Senza picchi. Senza valli. Senza eccessi in un verso o nell’altro. Prodotti confezionati perfettamente, ma non opere destinate a essere citate negli anni. E credo che Garreth Edwards e Rogue One siano state vittime di questo processo di omologazione (le numerose settimane di riprese aggiuntive girate dopo la visione del primo montaggio del film sono piuttosto note).

Quindi, adesso mi si pone un dilemma: come riempire lo spazio della rubrica di questo mese? Prendendo una scena a caso e analizzandola con tutto il mestiere che mi è possibile, non mettendoci nemmeno un pezzettino di me stesso ma dandovi esattamente quello che vi aspettate, o rischiare qualcosa di imprevisto e potenzialmente disastroso? Visto che non sto rischiando un paio di centinaia di milioni di dollari, vi parlo della scena che preferisco di A Bout de Souffle, film del 1960 di Jean-Luc Godard, arrivato da noi con il titolo Fino all’Ultimo Respiro. Tutta la pellicola è in un costante stato dinamico mentre segue il suo protagonista nella sua folle e disperata corsa verso un destino inevitabile. Tutto è in movimento in questa opera prima di Godard che rivoluzionerà il cinema per sempre. Tranne un segmento. Un lunghissimo momento, tutto ambientato in una minuscola camera da letto in cui Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg, non fanno altro che parlare, e parlare, e parlare, e parlare, e parlare, e parlare, e parlare, e parlare, e parlare, e parlare, e parlare, e parlare, e parlare. E non dicono nulla. Il discorso è frammentato, non consequenziale, come il montaggio di tutta la sequenza che stacca da un taglio all’altro. Sempre un momento dopo o uno prima di quanto sarebbe formalmente corretto.

È una scena così statica, così infinitamente dilatata, che sembra quasi sabotare l’impianto dinamico che sembrava essere il senso ultimo della pellicola fino a quel momento. E che, invece, la esalta. Perché è proprio quell’imprevedibile stasi in mezzo alla frenesia che avevamo visto fino a quel punto a permettere al finale di lanciarsi nella sua corsa fino alla conclusione. È una scena che crea uno squilibrio. E quello squilibro genera qualcosa di terribilmente interessante. Non c’è squilibrio in Rogue One, non c’è nulla di interessante da dire in un compito svolto in maniera così corretta. Guardatevelo tutto e godetevelo. Poi cercate di ricordarvelo tra sei mesi, e scoprirete cosa vi è rimasto in testa.

Qui sotto una scena di Fino all’ultimo respiro, con Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg

Di seguito blu-ray e contenuti extra dell’edizione Home Video di Rogue One: A Star Wars Story 

il blu-ray di Rogue One

  • Connessioni Rogue
  • L’idea per Rogue
  • Jyn: la ribelle
  • Cassian: la spia
  • K-2SO: Il droide
  • Baze e Chirrut: i guardiani dei Whillis
  • Bodhi e Saw: Il pilota rivoluzionario
  • L’impero
  • Visioni di speranza
  • La principessa e il governatore
  • Epilogo: la storia continua

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