Vecchio a chi? La recensione di Insospettabili sospetti

Un esplosivo ed esilarante heist movie sulla vecchiaia e il tempo che passa, con Morgan Freeman, Michael Caine e Alan Arkin a fare da mattatori assoluti e Zach Braff a dirigere

Tre amici attempati che si conoscono da una vita (Morgan Freeman, Michael Caine e Alan Arkin), nel momento in cui si vedono privati della pensione che spettava loro di diritto e finiscono di conseguenza sul lastrico, decidono di concedersi una tardiva rivalsa col botto rapinando una banca e improvvisandosi criminali, al solo fine di accaparrarsi il risarcimento che spetta loro di diritto. Ce la metteranno tutta per portare a termine il loro scopo, tra colpi di scena ed esilaranti e pirotecnici imprevisti che non tarderanno ad arrivare…

Remake di Vivere alla grande di Martin Brest, gustoso film dei tardi anni Settanta con George Burns, Art Carney e Lee Strasberg che guardava molto a Groucho Marx e alle scorie del cinema americano di quel decennio, materializzate tuttavia in chiave non solo comica, Insospettabili sospetti di Zach Braff mette in campo un delizioso terzetto di magnifici attori alle prese con degli uomini fragili, umanissimi e ordinari che si mettono in testa, esattamente come recita il titolo americano, di going in style, di andarsene con stile.

Forte di una freschezza contagiosa e di dinamiche comiche sicuramente risapute, specie per quel che riguarda l’ironia sulla senilità e sulla terza età della vita, ma non per questo non coinvolgenti e godibili, il film di Braff, che aveva esordito alla regia con un gioiello di magico e spiazzante romanticismo come La mia vita a Garden State, trova nel suo trio di interpreti il miglior carburante possibile: l’ingegnoso e altero Caine, very british indeed, il bonario Freeman e il burbero Alan Arkin, avvezzo a ruoli simili e gioiosamente incatenato in questo tipo di personaggio dopo l’indimenticabile nonno fuori di testa di Little Miss Sunshine, si compensano a vicenda e creano un equilibrio di toni e di umori perfettamente bilanciato, tanto nei buoni sentimenti, che non mancano, quanto nelle battute a effetto, anch’esse generose (“Non siamo infiltrati, al massimo infeltriti”).

Rispetto ad analoghi prodotti sulle ultime occasioni offerte dalla vita e dai suoi terminali e sorprendenti stravolgimenti finali, come il recente Last Vegas, quello di Braff, attore iconico del piccolo schermo con la serie tv di culto Scrubs che ha visto un po’ frenarsi la sua carriera dietro la macchina da presa dopo un’ottima opera prima di successo, riesce a coniugare amabilmente più registri: risate e malinconia, astio contro le banche e contro l’establishment economico americano alla base della crisi economica del 2008 e divertimento action che sa farsi anche sfrenato e piacione senza mai perdere di vista l’obiettivo finale.

In questo heist movie senile che cita allegramente Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet, regala un erotico ritorno al cinema ad Ann-Margret (l’attrice che era attesa al fronte vietnamita addirittura in Full Metal Jacket di Stanley Kubrick), concede un ruolo quasi da film muto (o da commedia shakespeariana) a Christopher Lloyd e si diverte a prendere in giro Point Break di Kathryn Bigelow con le maschere del rat pack (Frank Sinatra, Dean Martin, Sammy Davis Jr.) indossate dai protagonisti durante il colpo in banca, la grazia spensierata e lieve del bilancio di tre vite prossime alla fine, ma decise ad appropriarsi di un ultimo barlume di vitalità prima che sia troppo tardi (il cuore pulsante, in fondo, della sceneggiatura di Theodore Melfi), ha la sincerità appagante e consolatoria di un caffè scadente e rattrappito, capace di risvegliare e di fare il proprio dovere mattutino pur non essendo, esattamente come i tre protagonisti, irreprensibile e tirato a lucido.

Il colpo alla Williamsburgh Savings Bank diventa così un mero pretesto per mettere in campo un compendio esistenziale ingenuo ma accorato, con dalla sua un’eleganza farsesca e una brillantezza rigenerante che derivano anche dalla discreta mano di Braff, che illustra in maniera diligente il copione di Melfi e dimostra di possedere la misura e l’intelligenza necessaria per trasformare, giusto per fare un esempio, un funerale in un matrimonio con un solo movimento di macchina (cosa non semplice, a livello di tempi e di toni). Oltre che una certa attenzione agli ambienti, come la Brooklyn operaia e incolore in cui la storia è ambientata: un fondale anonimo da commedia brillante, privato di ogni colore caldo e pastoso e di qualsiasi svolazzo hipster e giovanile (di cui si sovraccaricava a vuoto, invece, Gigolò per caso di John Turturro), perfetto luogo d’elezione per questo invito spassionato a rubare il meglio dalla vita… finché si è in tempo.

 

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