Stefano Sollima: «Suburra non è un film di denuncia»

Il regista romano, uno dei pochissimi esponenti italiani di un cinema di genere in grado di fondere spettacolo e riflessione sociale, ci parla del suo nuovo film, un altro romanzo criminale che ci trascina tra gli intrighi di Mafia Capitale. In attesa della seconda stagione di Gomorra e, chissà, di un debutto americano. Ecco la nostra intervista

Quando raggiungiamo Stefano Sollima al telefono in un pomeriggio di inizio settembre, sappiamo che è appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti. Ce lo ha detto il suo ufficio stampa, e noi ce lo siamo subito immaginato reduce da Hollywood con una valigia carica di incontri con importanti produttori per definire gli ultimi accordi del suo primo film internazionale. Magari un action dall’alto budget, con una star di richiamo a fare da traino. Ci sbagliamo: «In realtà ero in vacanza a New York con la mia famiglia» ci dice con un sorriso scanzonato che riusciamo come a intravedere dall’altro capo del filo; aggiungendo però, come per non deluderci, «comunque ci sto lavorando!». Ah, ecco. La nostra ipotesi, del resto, non era così infondata: pur raccontando una realtà fortemente italiana, i lavori Sollima sono apprezzatissimi all’estero, basti pensare che dopo aver esportato Romanzo criminale – La serie e ACAB – All Cops Are Bastards, la prima stagione di Gomorra è stata venduta in oltre 50 paesi. In attesa (chissà) del suo primo film made in Usa, Sollima è ora pronto a portare nei cinema con Suburra, suo secondo lungometraggio, in sala dal 14 ottobre.

Best Movie: Ancora una volta la malavita romana. Che rapporto c’è tra Suburra e Romanzo criminale?
Stefano Sollima: Suburra è una sorta di seguito del lavoro fatto in Romanzo criminale. Riportando il racconto ai giorni nostri, il film vuole proseguire una riflessione su Roma, facendo il punto su cosa sia diventata la città oggi. Se prima c’era un’unica banda che era riuscita a diventare il punto di riferimento imprescindibile per la criminalità, di fatto un monopolio, oggi qual è la situazione? Suburra parla di Roma attraverso un racconto che è un racconto cinematografico, quindi di finzione. Poi è vero che, mentre stavamo finendo di girare lo scorso Natale, le storie del nostro film si sono sovrapposte, anzi hanno anticipato in maniera terribilmente simile, la realtà di Mafia Capitale denunciata dalla Magistratura.

BM: A proposito di possibili legami tra cinema e cronaca, o meglio di realtà che supera la finzione, lo scorso agosto l’Italia ha guardato con incredulità le immagini del funerale-show di Vittorio Casamonica. Possiamo dire che quella sarebbe stata una scena perfetta per il tuo film?
SS: Perché no. Del resto io parto sempre dal reale perché mi sembra che la vita sia sempre più originale e sorprendente di qualsiasi sua rappresentazione. Era successo anche con Gomorra: mi sono reso conto che le cose più forti e più belle erano frutto dell’osservazione della realtà, più che di un’ elaborazione drammaturgica. E quello del funerale show è un esempio lampante: c’è una messa in scena, uno spettacolo, una visione quasi cinematografica insita in quell’episodio. Mi piace prendere spunto dalla cronaca, dalla vita vera, e poi trasfigurare questa materia in un racconto di finzione senza farmi limitare dalla creatività. Io lavoro così: parto dai fatti storici e li rielaboro in modo narrativamente interessante e cinematograficamente funzionale. L’ho fatto in Romanzo criminale; stessa cosa per Suburra.

BM: Suburra: il titolo è molto evocativo. Ce lo spieghi?
SS: Innanzitutto mi sembrava bello partire da un titolo che evocasse l’antica Roma per parlare del presente. Il riferimento è al quartiere dove, duemila anni fa, il Potere e la Criminalità s’incontravano segretamente. Un nome arcaico che però è sempre stato attuale perché il meccanismo di coesistenza tra i vari poteri governa questa città da sempre.

BM: Quali sono questi poteri?
SS: Sono il potere politico, quello religioso e quello criminale. Mondi diversi che nel mio film s’intersecano grazie al progetto del Water-front, il piano edilizio che vuole trasformare il litorale romano in una sorta di nuova Las Vegas. Sulla carta, un progetto di riqualificazione urbanistica; nei fatti, un affare per le mafie, sia nella fase di costruzione e sia nel riciclaggio di denaro sporco attraverso i casinò. Il mondo della politica è rappresentato dall’onorevole Filippo Malgradi (Pierfrancesco Favino), uomo mediocre e divorato dall’ambizione. Poi c’è il mondo religioso che entra in gioco attraverso lo IOR (l’Istituto per le Opere di Religione), che è una delle banche forse più controverse che abbiamo avuto sul suolo italiano negli ultimi 30 anni, e qui il volto rappresentativo è quello di Jean-Hugues Anglade, che è l’anima nera e temporale che aleggia dentro il Vaticano. Infine c’è la strada, l’universo criminale, e qui il soggetto è Alessandro Borghi che interpreta Numero 8, boss di Ostia.

BM: Dall’universo criminale c’è anche un “reduce” della Banda della Magliana…
SS: Sì, è il personaggio di Samurai (Claudio Amendola): l’uomo chiamato a fare in modo che tutto fili liscio, l’unico che riesce a muoversi trasversalmente tra i vari mondi, l’unico che ha un passato tale da essere garante sia degli uomini della strada sia di quelli dei Palazzi. Poi ci sono personaggi che sono al di fuori dei poteri politico-religioso-criminale, tipo il PR col volto di Elio Germano, ragazzo anche lui posseduto dall’ambizione e senza troppi scrupoli morali e un’avvenente escort (Giulia Elettra Gorietti): loro due innescheranno una serie di incidenti apparentemente piccoli che però genereranno un effetto domino capace di inceppare l’eterno meccanismo della Suburra. E all’interno di questo ingranaggio s’inseriscono anche gli zingari.

BM: Il film prende spunto dall’omonimo libro di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo: lo hai rimaneggiato molto?
SS: Sì, direi che sono intervenuto molto, sempre nell’ottica, però, di conservare l’anima del racconto. Quella del libro è una storia molto corale; io ho dovuto sacrificare dei personaggi, o meglio mi sono concentrato su alcuni di essi perché veicolavano meglio alcune tematiche che avevo in mente. Così, ho trasformato figure di contorno in protagonisti e parallelamente ho eliminato alcuni dei ruoli principali, come quello del carabiniere Mario Rapisarda. Quest’ultimo, fondamentalmente, funzionava da trait d’union tra i diversi mondi (era lui che, attraverso le sue indagini, tragettava il lettore dai palazzi del Potere alle strade di Ostia) ma cinematograficamente mi sembrava più efficace lasciare a ogni personaggio di ciascun mondo il compito di raccontare la sua realtà, il suo universo.

BM: È vero che hai chiesto agli attori di non leggere il romanzo?
SS: Sì, anche se poi in molti hanno disobbedito. L’ho chiesto perché, proprio per definizione, secondo me il racconto cinematografico deve tradire la fonte letteraria. Tradire proprio per poterne rispettare l’anima. Per molti attori del cast leggere il libro sarebbe stato controproducente. Elio Germano, per esempio, interpreta Sebastiano, e Sebastiano nel libro c’è ma è un personaggio che ha uno sviluppo minimo. Anche Numero 8 nel film è totalmente diverso rispetto al libro: è diverso il carattere, è diverso il personaggio eppure la funzione è la stessa del romanzo.

BM: Nel cast, oltre a nomi importanti del nostro cinema come Pierfrancesco Favino ed Elio Germano, troviamo anche due giovani attori molto bravi, sebbene non così noti al grande pubblico, come Alessandro Borghi (Non essere cattivo) e Greta Scarano (Senza nessuna pietà). Ottima scelta.
SS: Sì, lo so. Entrambi, poi, hanno fatto un lavoro strepitoso. Con tutti e due avevo già lavorato in Romanzo criminale – La serie, e sono grandissimi interpreti. Spero che il mio film contribuisca a dargli visibilità e a ottenere il successo che meritano.

BM: Definiresti Suburra un film di denuncia? So che non ami questa espressione.
SS: Verissimo. Penso che il cinema debba essere prima di tutto un momento d’intrattenimento. Poi, se riesci a intrattenere e allo stesso tempo a raccontare delle cose vere del mondo che ti circonda, qualcosa d’inaspettato, su cui non avevi mai appoggiato lo sguardo, ancor meglio. Però non partirei mai dicendo che Suburra è un film di denuncia. Suburra è un grandissimo e spettacolare noir. Un crime movie, un film di genere.

BM: Un film d’intrattenimento con molte scene spettacolari.
SS: Assolutamente. È un film di grande spettacolarità: la spettacolarità e l’azione sono essenziali per me. Ci sono tante scene di massa e di grande azione, come un incendio in uno stabilimento di Ostia e una sparatoria in un supermercato. Ma non finisce qui. Lo stesso passaggio da un mondo all’altro è di una ricchezza visiva sorprendente perché nell’arco di pochi minuti si è catapultati dalle stanze del Vaticano alle periferie più disagiate, il tutto con una velocità impressionante.

BM: Sin dalla diffusione del primo trailer Suburra ha mostrato un’ambientazione oscura e piovosa, da vero noir.
SS: Le atmosfere sono molto buie, quasi da fine del mondo. Il racconto si svolge in sette giorni sotto un diluvio quasi ininterrotto, ed è una sorta di conto alla rovescia verso l’Apocalisse. C’è una sorta di presagio biblico. Paolo Carnera, il direttore della fotografia, ha fatto un ottimo lavoro: con lui, avevo già lavorato in ACAB, Romanzo criminale e Gomorra.

BM: Come mai Suburra non era in Concorso al Festival di Venezia?
SS: Banalmente non eravamo pronti per Venezia. La nostra release del 15 ottobre non era troppo compatibile con le date del Festival. Non aveva poi neanche così senso.

BM: Pensi che Suburra possa avere lo stesso successo all’estero che hanno avuto le altre tue opere?
SS: Lo spero, e penso che sia probabile. Come Gomorra, Suburra vanta un linguaggio cinematografico internazionale, una certa universalità nei temi trattati ma conserva ben intatta una propria specificità. Ti faccio un esempio lampante: Suburra è un gangster-movie adrenalinico ma in nessun altro gangster-movie della storia del cinema c’è anche il Papa dentro. Pur andando a inserirsi in un genere che vanta illustri predecessori, si colloca su un piano originale.

BM: Gomorra, seconda stagione. A che punto siete?
SS: Stiamo ancora girando, finiremo a novembre le riprese. Dunque, il debutto sarà per la primavera prossima.

BM: [SPOILER] Cosa ci puoi anticipare ora che sappiamo che Genny non è morto del tutto?
SS: Be’ sì quello lo abbiamo svelato alla conferenza stampa con la sua stessa presenza. In questa seconda stagione Genny sarà sorprendente. Se nella prima serie il ragazzo era cambiato molto pur non riuscendo a trovare un suo centro (di lui abbiamo visto due lati opposti di lui ma ugualmente imperfetti), ora, invece, sarà alla ricerca di un equilibrio che lo trasformi in un uomo nuovo.

BM: Che serie guarda Stefano Sollima quando non è sul set?
SS: Di tutto. Purtroppo ultimamente faccio un po’ fatica a stare dietro alle novità e sono in perenne ritardo. Pensa che devo ancora finire di vedere la seconda di True Detective! Vedere le serie richiede tempo e io sono sempre sul set. Quando ho cominciato ad appassionarmi al genere, diciamo così, anni fa con The Shield e The Wire non c’erano così tante produzioni interessanti per il piccolo schermo ed era più facile restare aggiornati; ora ho My Sky intasato con tutti i titoli in coda da vedere, senza contare le serie che ho comprato su iTunes e che sono ancora lì in attesa…

BM: Troppo lavoro!
SS: In effetti, solo quest’anno ho fatto un film e una serie Tv… E poi ho anche due bambini piccoli. Con giornate di 24 ore non ce la si può fare…

BM: Be’, ora ti riposi un po’?
SS: Per niente! C’è la promozione di Suburra, poi bisogna finire di girare e di montare Gomorra 2.

BM: Lì, finalmente sarà l’ora di una vacanza…
SS: Ma anche di un pre-pensionamento! Scherzi a parte, mica è finita. Sto lavorando su ZeroZeroZero, una nuova serie Tv dal romanzo di Roberto Saviano.

BM: E quel progetto di un film con Pierce Brosnan?
SS: Se ne era parlato due anni fa, era un thriller intitolato I.T. ed era un progetto al quale io stato “attached” come dicono gli americani. Ma poi c’erano un po’ di sovrapposizioni con altre mie produzioni, quindi lo abbiamo rimandato e alla fine hanno chiamato un altro regista.

BM: L’ipotesi per un altro debutto americano non è così remota…
SS: No no, anzi. Io ci sto lavorando. Detto questo, in un mondo globalizzato come il nostro non è detto che tutto quello che si fa fuori sia meglio di quello che possiamo produrre in Italia. Mi spiego meglio: conquistando un pubblico sempre più ampio, si possono ottenere finanziamenti importanti anche qui. Grazie al successo nel mondo di Romanzo criminale siamo riusciti ad avere un budget consistente per Gomorra, e ora, grazie al trionfo di Gomorra, i finanziamenti che possiamo trovare per Zero, zero, zero sono ancora maggiori. Dunque, anche dall’Italia, ragionando con un’ottica più globale, si possono fare cose interessanti. Ormai i capitali sono sempre più mischiati e anche gli americani cercano sempre più di fare coproduzioni con soggetti europei. Bisogna ragionare su produzioni che abbiano una propria specificità culturale che renda il tuo lavoro unico e diverso da quello degli altri, ma pensando a un pubblico globale. Negli anni ’70, già lo facevamo: penso a Sergio Leone.

BM: Anche lo spettatore è cambiato e lo si vede anche nella diffusione di una realtà come Netflix che, appunto, punta anche su produzioni locali (non solo americane, ma anche spagnole, francesi, ecc) ma che siano in grado di affascinare un pubblico globale. E infatti ora che Netflix arriva anche in Italia si parla di questa serie su Mafia Capitale. Verrai coinvolto anche tu in qualche modo nel progetto?
SS: No, non ce la potrei mai fare. In questo momento mi sto occupando di Gomorra e di Suburra: mi sembra davvero già tanto!

L’intervista è pubblicata anche su Best Movie di ottobre, in edicola dal 26 settembre

Foto: Emanuela Scarpa/01 distribution

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