L’Uomo Ragno innamorato: azione e tanto romanticismo in The Amazing Spider-Man 2. La recensione

Il secondo capitolo del reboot sul tessiragnatele, in sala dal 23 aprile, rilancia e non delude le aspettative

Da un grande potere derivano grandi responsabilità, ormai lo sappiamo. In The Amazing Spider-Man 2: Il potere di Electro, sulla coscienza tormentata di un giovane supereroe che sta diventando grande – e combatte con tutti i demoni, le paure, le insicurezze e gli errori che il processo comporta – si va a poggiare un altro fardello. Quello di diventare un simbolo di speranza. Meglio fare un passo indietro. Dove eravamo rimasti? Peter Parker salva New York dal piano del Dr. Connors, somministrare all’intera città la formula che l’ha trasformato in una folle lucertola gigante, ma non riesce a impedire la morte del capitano Stacy, padre dell’amata Gwen. Questo secondo capitolo si apre con uno Spider-Man gigione, all’apice della forma e della fiducia nei suoi mezzi. Sgomina con facilità una banda di malavitosi russi che cerca di scappare con un tir pieno di plutonio in pieno centro, scherza con i cattivoni, fa il giocoliere radioattivo, salva un triste ingegnere e arriva appena in tempo, con tanto di entrata spettacolare, alla cerimonia dei diplomi. Ma è tutto una maschera, Peter vive con due fantasmi a fianco. Quello del capitano Stacy, a ricordargli di una promessa in punto di morte suggellata e mai mantenuta: uscire per sempre dalla vita di Gwen; e quello del padre Richard, scomparso anni prima insieme alla madre in circostanze misteriose e mai chiarite. Due fantasmi talmente ingombranti da mettersi di traverso e intralciare la perfetta storia d’amore tra Spidey e la sua bella. E se è difficile rattoppare una relazione complicata in circostanze normali, figuratevi quando di mezzo c’è da salvare una città dal triste ingegnere di cui sopra, diventato Electro (Jamie Foxx) in seguito a un incidente alla OsCorp e folle d’odio per Spider-Man e il mondo intero.

Di ritorno al punto di partenza. Con un tormento che è anche un paradosso: come può Peter ergersi a faro di speranza per l’uomo della strada quando lui, per primo, non ne ha? Disperato alla ricerca di risposte sul suo passato. Disperato perché non riesce o non può mantenere le promesse. Disperato perché la scelta (necessaria) di essere Spider-Man lo allontana dall’amore della sua vita. Come The Amazing Spider-Man era una parabola classica sull’adolescenza, sulla scoperta di se stessi, dei cambiamenti e della consapevolezza delle proprie potenzialità, così questo secondo capitolo del reboot ragnesco a firma Marc Webb costringe Peter a un avvicinamento a velocità vorticosa verso l’età adulta. E Webb, come ha già dimostrato in (500) giorni insieme, ha la giusta sensibilità per mettere in scena il rapporto a ostacoli fra Peter e Gwen, cuore pulsante e sanguinante della pellicola. Di più: le complicate dinamiche della coppia, a cui il destino non fa sconti, sono l’anomalo motore di questo cinecomic, in cui i patemi d’amore hanno un peso (banalmente anche di minutaggio) e un’importanza superiore ai momenti spacca e rompi. Che sono più contenuti rispetto alla media del genere e funzionali come contorno spettacolare a un’emozionante parabola romantica. E sebbene litri di inchiostro siano già stati spesi per esaltare le prove di Andrew Garfield ed Emma Stone, un’altra conferma non guasterà: funzionano in maniera impeccabile e in coppia regalano almeno un paio di scene (il diploma e lo sgabuzzino) perfette come contrappunto lieve all’azione.

Un altro merito di The Amazing Spider-Man 2 è l’abilità nel tirare le fila, dirimere la matassa del primo episodio e preparare il terreno ai prossimi capitoli della saga; sfruttando una scrittura semplice e compatta, Webb riesce a gestire e indirizzare ai suoi scopi un grande magma narrativo. Viene introdotto il villain, sostanzialmente non sfruttato, Rhino (Paul Giamatti) che promette di ricomparire nel prossimo futuro. E soprattutto fa la sua entrata in scena Harry Osborn, interpretato da un febbrile Dane DeHaan. Viziato, arrabbiato, solo e incompreso, l’erede della OsCorp è alla disperata ricerca di una cura alla malattia ereditaria che ha ucciso il padre (Chris Cooper). Ed è disposto a tutto pur di ottenerla. Non c’è bisogno di rivelare nulla sul finale del film. Ma forse è un buon momento per rispolverare gli albi che ospitano le storie sui Sinistri Sei e, soprattutto, su Gustav Fries. Buona visione e buona lettura.

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