The Report, la recensione

Nelle sale dal 18 al 20 novembre, e poi su Amazon Prime Video dal 29 novembre, il film d'inchiesta con protagonista Adam Driver nei panni di un tenace investigatore alle prese con le torture perpetrate dagli Stati Uniti dopo l'11 settembre

The Report
PANORAMICA
Regia (3.5)
Sceneggiatura (4)
Interpretazioni (3.5)
Fotografia (3)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (2.5)

Daniel J. Jones (Adam Driver), membro del comitato d’investigazione e d’intelligence e dello staff del senatore democratico Dianne Feinstein (Annette Bening), è incaricato di far luce sui metodi di prigionia e sugli interrogatori operati della CIA nel periodo che ha seguito gli attentati dell’11 Settembre 2001. Dopo diversi anni, Jones scopre l’esistenza di pratiche di tortura immorali e crudeli che la CIA ha cercato a lungo di celare. Ma la pubblicazione di questo dettagliato rapporto sarà molto più complicata del previsto.

Sorta di variante in chiave dark de Il caso Spotlight, con il waterboarding, Abu Ghraib e Guantanamo al posto degli scandali dei preti pedofili, The Report rappresenta l’anima più affilata del cinema americano liberal e d’inchiesta, quello in grado di fare i conti e di sporcarsi le mani con gli anfratti più scomodi e controversi dell’attualità e della recente storia a stelle e strisce.

C’è infatti l’ombra lunga della Casa Bianca e della CIA, e dei loro sforzi costanti nel soffocare della approfondite indagini, nel sottofondo sordido e carico di terribili ambiguità istituzionali del film diretto da Scott Z. Burns, sceneggiatore, produttore e collaboratore abituale di Steven Soderbergh, col quale ha collaborato anche all’ultimo Panama Papers. Una regia che dà al prodotto un piglio più obliquo del solito, virando al nero e connotando di più di uno squarcio di pessimismo il consueto impianto da film giornalistico statunitense, spesso molto debitore del coraggio e delle prove di forza morale dei reali protagonisti delle vicende narrate.

Stavolta, invece, il personaggio interpretato da Adam Driver, attore sempre più rimarchevole per misura e sottrazione, è una specie di corpo deambulante, subissato senza colpo ferire da una miriade di dettagli e dossier. Un lavoratore indefesso e fuori dal tempo, al punto da perdere la nozione del tempo e l’arrivo imminente del Ringraziamento. Il film glissa, con una voluta scelta di campo, sul suo privato, tenuto completamente fuori dal raggio d’azione del racconto. Delle sue attività extra-ufficio ci vengono concesse, di fatto, solo delle passeggiate o dei momenti di jogging.

Come spettatori sposiamo totalmente il suo sguardo vitreo e anodino, la sua apparente assenza di desideri, il grado zero delle sue emozioni congelate. Un tappeto d’indifferenza che consente di immergersi nei mille strati di una sceneggiatura precisa e generosa tanto nei dati quanto nella scansione temporale che scorre di anno in anno, delineando i contorni di un disperato tentativo di assalto, silenzioso, alla verità.

Alla fine ne venne fuori una mega-documentazione, letteralmente impressionante, di settemila pagine (ma sei milioni furono quelle consultate dal vero Jones), ed è di questa mole d’informazioni sterminata che The Report si fa umilmente carico. Con rigore filologico, addirittura con perizia scientifica, puntando perfino il dito contro le scivolose spettacolarizzazioni di altre opere audiovisive dedicate a temi analoghi come il film di Kathryn Bigelow, Zero Dark Thirty, e il serial 24.

Senza timore di apparire verboso e ridondante, ma con una lucidità e una passione che, esattamente come il giornalismo migliore, evita il pathos a effetto, la scorciatoia delle semplificazioni, il birignao degli slogan ingannevoli, il conforto appagante delle false e mezze verità ufficiali. Un voto di castità ammirevole, che risuona sullo schermo con un livore trattenuto e sommesso. E, proprio per questo, forse ancora più potente.

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