Tim Burton a Roma racconta il suo Dumbo: «Cercavo emozioni semplici e pure»

Il resoconto della conferenza stampa italiana del regista, che riceverà stasera il David di Donatello alla carriera

Tim Burton a Roma per il photocall di Dumbo

È arrivato in Italia Tim Burton, eterno cantore cinematografici dei freak e dei diversi, che col suo stile inconfondibile e visionario ha segnato più di una generazione di appassionati e spettatori di cinema. Il regista è di passaggio a Roma per promuovere il suo ultimo film, il remake live action del classico Disney Dumbo, in arrivo nelle sale il prossimo 28 marzo. Ma anche per ricevere stasera, dalle mani di Roberto Benigni, il David di Donatello alla carriera nel corso della cerimonia di consegna dei premi più prestigiosi del cinema italiano. 

Nella nuova versione del classico Disney datato 1941 Max Medici (Danny DeVito), proprietario di un circo, assume l’ex star Holt Farrier (Colin Farrell) insieme ai figli Milly e Joe per occuparsi di un elefante appena nato, le cui orecchie sproporzionate lo rendono lo zimbello di un circo già in difficoltà. Quando si scopre che Dumbo sa volare, il circo riscuote un incredibile successo attirando l’attenzione del persuasivo imprenditore V.A. Vandevere (Michael Keaton) che recluta l’insolito elefante per il suo nuovo straordinario circo, Dreamland. Dumbo vola sempre più in alto insieme all’affascinante e spettacolare trapezista Colette Marchant (Eva Green) finché Holt scopre che, dietro alla sua facciata scintillante, Dreamland è pieno di oscuri segreti.

Con addosso un’allegria innegabile e l’andamento bizzarro e dinoccolato di sempre, il cineasta californiano, dal consueto look scarmigliato con tanto di immancabili occhiali spessi dalle lenti blu trasparenti, ha tenuto ieri mattina una conferenza stampa nella Capitale in cui si è prestato gioiosamente alle domande della stampa presente, dalle più ossequiose alle più strambe passando per quelle più incalzanti (qualche volta ha risposto, in altri casi le ha scansate tra una risata e una battuta a metà tra il gioviale e l’isterico). Dumbo è un progetto che gli viene attribuito da molto tempo a questa parte, ben prima che il regista riuscisse a realizzarlo, essendo il piccolo elefante protagonista un outcast decisamente in line con la galleria di personaggi emarginati e in conflitto con la società che li circonda che da sempre popolano il suo cinema. 

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«Trattandosi di un personaggio che non parla le emozioni dovevano essere espresse in maniera diversa e, in un mondo così caotico, volevo cercare una forma di espressione semplice e pura per rappresentarlo – esordisce Burton a proposito del suo Dumbo -, Pur avendo già fatto un film su un circo (Big Fish – Le storie di una vita incredibile del 2003, ndr) devo dire che non l’ho mai amato. I clown mi terrorizzano e non mi è mai piaciuto vedere gli animali in quel contesto, ad eccezione dei cavalli e dei cani che però sembrano divertirsi. Lo zoo magari è un po’ diverso, perché i bambini possono imparare qualcosa e vi si possono proteggere delle specie in via d’estinzione». 

Com’è facile immaginare, Burton non si è sottratto dal portare più di un elemento del suo mondo espressivo e poetico dentro Dumbo. «Nella sceneggiatura troviamo dei parallelismi tra le vicende dei personaggi umani e quella di Dumbo, c’è un senso di perdita, di spiazzamento, di disorientamento. Sugli occhi di Dumbo non a caso abbiamo lavorato moltissimo, mentre su quelli di Jake Skeletron (il protagonista del film d’animazione The Nightmare Before Christmas, che il regista cita prendendo in mano un busto presente in sala, ndr), essendo totalmente neri, all’epoca non avevo lavorato per niente! Non potrei mai farne un remake live action, dove lo trovo uno così secco!».

Molto attesa, nel confronto col film originale, era destinata alla sequenza psichedelica nella quale un Dumbo ubriaco assisteva a una parata visionaria di elefanti rosa. Una scena tra le più spiazzanti e controverse della storia dell’animazione disneyana, impossibile da dimenticare, dato il suo alto tasso onirico, anche a molti anni di distanza. «Era fondamentale che quella scena rimanesse strana com’è, ma con un’immagine meno da tormento e da incubo. Le bolle di sapone mi sembravano il modo giusto per entrare nella mente di Dumbo, mantenendo lo spirito dell’originale, ma cambiandolo».

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«Il film originale poi è piuttosto corto – prosegue Burton a proposito del confronto – dura poco più di un’ora e quella sequenza è molto importante, ma non sono stato lì a calcolare i tempi. Amo il film d’animazione originale e anche se oggi lavoro molto col digitale m’interessa sempre mantenere la natura tattile del fare cinema. In questo caso abbiamo limitato i green screen al cielo e ad altri dettagli, mentre il resto, dai cancelli a tutto quello che c’è dentro Dreamland, è tutto artigianale e costruito dal vero».

Nel cast di Dumbo c’è un gruppo di attori col quale Burton ha già lavorato in passato, ad eccezione di Colin Farrell. «Fare un film ricrea una condizione familiare e per me era molto importante lavorare con figure che conoscevo bene e con cui avevo lavorato in passato. Da Michael, che non vedevo da vent’anni, a Eva passando per Danny. Il circo in fondo è un posto di persone strane che si ritrovano e il cinema è strettamente simile, perché cerca sempre di imitare la vita. Con Danny si diceva: abbiamo fatto tre film con ambientazione circense e a nessuno dei due piace il circo, incredibile vero?».

A chi gli chiede quanto sia cambiata la Disney rispetto ai tempi in cui Burton non nascondeva il suo rapporto conflittuale con la major, Burton in un primo momento svicola con ironia. «Dove sono finito, in una seduta di analisi? Quanto le devo, dottore? Scherzi a parte, a libertà creativa non te la dà nessuno, funziona così. Come in ogni famiglia c’è del buono e del meno buono, scommetto che nessuno di voi ama la sua famiglia sempre e comunque. La trasformazione nelle aziende di oggi non riguarda solo la Disney. Assistiamo di continuo a fusioni e ri-fusioni. Io non esisterei senza la realtà degli studi della Disney dell’epoca, dove ho fatto cose molto lontane nel tempo come Red & Toby e Taron e la pentola magica».

C’è spazio infine per delle note sul cinema italiano al quale Burton è più legato, a partire dal premio che si accinge ai ricevere. Nella cerimonia di stasera, tra l’altro, riceverà un David speciale anche il suo totem Dario Argento. «Non ho ricevuto moltissimi riconoscimenti in carriera, quindi è qualcosa di davvero molto speciale per me, in Italia mi sento a casa. Registi italiani come Dario Argento, Mario Bava e Federico Fellini sono stati per me fonte d’ispirazione e parte del motivo per cui faccio cinema. Ci aggiungerei anche dei film di Ercole per completare il quadro! Dario poi è uno straordinario cineasta e un amico e il suo negozio Profondo Rosso è davvero fantastico».

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