Torino Film Festival 2019, La Gomera: un originale noir rumeno sulla lingua dei fischi. La recensione

Il film uscirà anche nelle sale italiane nel 2020, col titolo "Fischia!", ed è arrivato all'ultimo TFF dopo aver riscosso un ottimo successo allo scorso Festival di Cannes

La Gomera
PANORAMICA
Regia (3.5)
Interpretazioni (2.5)
Sceneggiatura (3)
Fotografia (3.5)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3.5)

Cristi (Vlad Ivanov), un ispettore di polizia di Bucarest, s’imbarca per l’isola di Gomera, nelle Canarie, per imparare in fretta il Silbo, un linguaggio fischiato che i contadini del luogo utilizzavano tradizionalmente per parlarsi da un luogo isolato all’altro. Ma il poliziotto è determinato a utilizzare quel codice, segreto ai più, per ben altro scopo: liberare un mafioso rumeno dalla prigione ed entrare in possesso di un’ingente somma di soldi sporchi.

Uno sbirro corrotto, una manciata di milioni, una superiore algida e rossa di capelli, che sospetta di Cristi e non vede l’ora di entrare nella truffa per avere la sua parte, un criminale da favorire e una femme fatale fatta apposta per scombinare tutti i piani. È il mix di situazioni e trovate, a metà tra il nero d’autore e il melodramma, che Corneliu Porumboiu, spericolato e solare alfiere della nuova onda del cinema rumeno, ha squadernato per il suo nuovo film, La Gomera (The Whistlers), che uscirà anche nelle nostre sale nel corso del 2020 col titolo Fischia! dopo il passaggio in Concorso allo scorso Festival di Cannes, decisamente positivo in termini di accoglienza, e l’inclusione nella sezione Festa Mobile del TFF 37.

La Gomera arriva a quattro anni di distanza dal suo precedente The Treasure ed è un’operazione di genere apprezzabile per la libertà e la freschezza, che non cede nemmeno al cospetto di una trama qua e là eccessivamente arzigogolata. La mescolanza eterogenea e godibile tra gli stilemi del thriller e quelli del noir, venati di commedia surreale e accompagnati da una colonna sonora pop e lirica, che spazia da The Passenger di Iggy Pop alla Marcia di Radetzky (per chiudere sul finale sulle note di Sul bel Danubio blu), è infatti merce rara nel panorama del cinema europeo e d’autore di oggi, al cui interno Porumboiu rappresenta comunque da tempo una voce indubbiamente singolare e peculiare.

I temi portanti, sapientemente distillati con una perizia poco incline a prendersi sul serio, sono quelli del linguaggio e del denaro, consueti per questo regista, ma declinati con un atteggiamento smargiasso e non pretenzioso che li rende accessibili, molto concreti in rapporto al dispositivo cinematografico convocato, mai astratti o inutilmente intellettualistici. A questa dimensione da filosofia popolare sulla contemporaneità e sugli eterni flussi che regolano i codici della sopraffazione umana, tra doppie e triple piste e femme fatale dalla bellezza sconvolgente (a interpretare questo ruolo c’è la modella e attrice rumena Catrinel Marlon, nota anche in Italia per L’Ispettore Coliandro), si affianca anche un gusto cinefilo forse un po’ troppo prossimo al bignami, alla strizzata d’occhio e alla tappezzeria.

Pescare una sequenza specifica dell’immortale Sentieri Selvaggi di Jon Ford, proiettato alla cineteca di Bucarest e con John Wayne impegnato con un bombardamento sonoro per mano di nativi nordamericani (totalmente in linea con i discorsi portati avanti dal film sulla comunicazione), più che un vezzo da studente di cinema alle prime armi somiglia però a una folgorante postilla, di quelle che i grandi autori possono permettersi quando si muovono con fare libertario e piacione, rinnegando ogni canonizzazione e altare per divertire e divertirsi, come fossero in permesso premio (senza dimenticare, a questo proposito, che il personaggio della Marlon si chiama Gilda…). Il film è prodotto da Maren Ade, importante produttrice tedesca estremamente attiva e dietro la macchina da presa del successo arthouse Vi presento Toni Erdmann, e Sylvie Pialat, moglie del grande e troppo dimenticato Maurice. 

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