Venezia 2015: i fantasmi del nazismo tornano in Remember. La recensione

Un sorprendente revenge movie con Christopher Plummer, accolto da lunghi applausi alla proiezione stampa

È proprio un’edizione fortunata per il Festival, non c’è giorno che almeno una proiezione del concorso non si chiuda tra gli applausi.

Oggi è toccato all’ottimo Remember di Atom Egoyan, una specie di incrocio tra This Must be the Place e Harry Brown. Egoyan è uno di quei rari autori che viene invitato ai Festival anche quando fa film di genere. Negli anni ’90, dopo Exotica e Il dolce domani, era considerato un genio, poi ha fatto qualche stupidaggine (Chloe, Fino a prova contraria), adesso è snobbato, eppure i suoi film hanno tutti una luce opaca e un ritmo ipnotico che non si trova in giro, ed è sempre lo stesso di vent’anni fa. Racconta storie di spaesamento, personaggi che hanno sensi di colpa, brutti ricordi, bugie sul groppone, che cercano soluzioni per poter sopravvivere al passato, proprio e altrui.

Sembra quindi fatta apposta per lui questa storia di conti da saldare, c’è un uomo di 84 anni, Zev (Christopher Plummer), che vive in un ospizio, la moglie è morta da poco. È un ebreo, è stato ad Auschwitz e un altro ospite della casa di riposo, Max (Martin Landau, quasi irriconoscibile), era lì con lui. Max gli scrive una lettera e gli affida una missione, deve trovare l’uomo che ha sterminato le loro famiglie, un comandante delle SS. Gli dà una busta piena di soldi, lo mette in viaggio, gli organizza gli spostamenti in auto e i pernottamenti. Il problema è che Zev dimentica le cose, è affetto da una lieve forma di demenza, ogni mattina pensa che sua moglie sia ancora con lui, non sa dove si trova; poi legge la lettera e riparte.

Remember è quindi un road movie e una storia di vendetta, ma tutte le persone coinvolte hanno più di ottant’anni, ci sono una lentezza e un impaccio che rendono tutto desolante; non c’è solo l’orrore del passato, ma molto di più la difficoltà della vecchiaia, i pantaloni sporchi, le parole biascicate, la memoria bucata. Si ha la sensazione di un meccanismo che si sta esaurendo, di una dinamica sfinita, restano l’odio e il dolore e il rimorso: la vita di queste persone, vittime e carnefici, non è fatta d’altro che questo, ed è la vera tragedia.

Questi film crepuscolari sul nazismo non potranno più esistere in modo così esatto come ora, sono l’ultima traccia prima degli eredi, il segno delle persone che stanno scomparendo e dei motivi che si stanno annacquando. Sono giusti adesso. E tuttavia nella scena più dura del film, l’unica vera scena da thriller, Zev deve affrontare il figlio (Dean Morris, il poliziotto di Breaking Bad) di un vecchio nazista ormai scomparso, uno con la divisa e una collezione di svastiche – bandiere, piatti, album fotografici. Lì la storia acquista un’energia diversa, dice che c’è una battaglia sempre da combattere, quasi si giustifica.

Prima e dopo, è come se tutti volessero solo che fosse già finita.

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