Venezia 68, Carnage accolto tra gli applausi. La nostra recensione

Il film di Polanski, in concorso, conquista tutti. Nel cast Kate Winslet, Christoph Waltz, Jodie Foster e John C. Reilly

Due bambini fanno a botte al parco: uno ha un bastone in mano e fa saltare due incisivi al secondo. Sui titoli di testa scorre l’antefatto di Carnage, dramma da camera di Roman Polanski che ha tratto da un breve testo teatrale di Yasmina Reza, Il dio della carneficina.
Stacco.

In un salotto piccolo borghese affacciato su un panorama industriale due coppie di genitori discutono della rissa tra i figli. Non siamo più su un prato, ma al quinto piano di un condominio. Non siamo più all’aria aperta, ma tra quattro mura. Non c’è più agitazione, non si agisce: per dirimere lo spiacevole incidente, si parla. In questa cornice di trionfante razionalità, i caratteri dei quattro adulti si rivelano soltanto poco a poco.

I genitori del bambino ferito e promotori dell’incontro, i Longstreet (John C. Reilly e Jodie Foster), sono una coppia progressista e ospitale. Lui è un rappresentante di articoli domestici concreto e bonario, lei un’intellettuale frustrata, che ha tentato con scarso successo la carriera di scrittrice ma si ritrova a lavorare in libreria, e tratta i propri volumi d’arte con una maniacalità che nasconde la sua frustrazione.
I genitori del bambino violento, i Cowan (Christoph Waltz e Kate Winslet), sono invece più sobri e formali, disponibili al dialogo ma conservatori: lui è un avvocato di successo («Chi dovrebbe difendere domani a Washington?», «Oh, il Pentagono»), lei una broker, e di sicuro guadagnano meglio dei Longstreet.

Quel che va in scena negli 80 minuti scarsi del film, è il progressivo sbriciolarsi delle formalità e delle maschere sociali, corrose apparentemente da fattori esterni (Mr.Cowan risponde al telefono di continuo spezzando la conversazione, Mrs.Cowan è colpita da conati di vomito, tutti e quattro alzano un po’ troppo il gomito), ma in realtà da un dato di fondo più solido: nessuno crede veramente alla recita riconciliatoria.
«Vuole sapere in cosa credo io Penelope? Credo nel dio della carneficina, l’unico che comanda da sempre. Lei dovrebbe sapere meglio di tutti che la prima forma di diritto è la forza bruta», dice Mr. Cowan, il più cinico dei quattro, ma anche il più lucido e tranquillo (e quindi quello con cui è più facile empatizzare).

In questo campo di battaglia, fatto di tre stanze (salotto, bagno e cucina) e un corridoio condominiale da cui non si riesce “bunuealianamente” ad evadere, gli eserciti e le alleanze mutano di continuo. Sono prima eserciti sociali (le due coppie sposate, con il loro bagaglio di convinzioni politiche condivise); poi eserciti antropologici (i due uomini finiscono presto per sostenersi a vicenda, mentre le donne si limitano a “vomitare” la loro frustrazione”); infine eserciti ideologici, e qui il divario diventa anche numerico, perché l’unica vera progressista, anche a costo di una nevrastenia cronica, è Mrs. Longstreet.
Alla fine, non resta niente: le alleanze, tutte le alleanze, esplodono, e con esse tutto ciò su cui si basa la comune idea di società occidentale. Mentre i bambini, giù al parco, hanno già fatto pace da un pezzo.

E così, dopo Le Idi di marzo, il concorso di Venezia 68 mette in luce una dose di cinismo ancora più massiccia, spostando l’obiettivo dalla vita politica a quella domestica, e al contempo dimostrando che tra le due la distanza è azzerata.
E oggi come ieri, lo fa attraverso una squadra di attori straordinari, con menzione inevitabile per il bastardo senza gloria (e, alla fine, pure senza cellulare) Christoph Waltz.

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Sotto, il trailer, in lingua originale, di Carnage:

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