Wikileaks, la verità in un film

Un uomo che, da solo, svela i più grandi segreti della politica internazionale: era solo questione di tempo prima che qualcuno decidesse di trasportare la vita di Julian Assange sullo schermo. Perché in un mondo in cui realtà e finzione si scambiano e confondono tocca al cinema raccontarci tutto (forse) su Wikileaks...

Rivelare il rivelatore, svelare i segreti di chi li ha svelati, attraverso i dispacci raccolti presso le agenzie governative più importanti del pianeta. Dedicarsi alla realtà, che ha abbondantemente superato la fantasia. Anzi, l’ha proprio doppiata, perché di ogni cosa, ormai, è lecito sospettare che esista un rovescio.

In questo contesto e nell’era del cinema-documentario, in cui i registri si scambiano, e le storie vere lo sono solo fino a un certo punto, poteva mancare un film dedicato a WikiLeaks, l’organizzazione no profit che, sul suo sito www.wikileaks.org, ha pubblicato documenti coperti da segreti di vario genere (di Stato, militari, bancari…) che hanno fatto tremare la diplomazia di tutto il mondo? E soprattutto si poteva non raccontare la storia di Julian Assange, fondatore del sito, che è stato il vero protagonista, negli ultimi mesi, di questo scambio tra realtà e finzione? Aspettiamocene una serie: il primo, coprodotto da BBC e da HBO, sarà un film per la tv e sarà diretto da Charles Ferguson, lo stesso regista di Inside Job, il documentario del 2010 dedicato alla crisi economica. La storia sarà basata su un lungo articolo del New Yorker, intitolato appropriatamente No Secrets. La DreamWorks seguirà velocemente, basandosi su WikiLeaks: Inside Julian Assange’s War on Secrecy, il libro dei giornalisti del Guardian David Leigh e Luke Harding.

In entrambi i casi si tratterà di qualcosa di un po’ diverso dai soliti documentari: niente Michael Moore, niente Morgan Spurlock (quello di Super Size Me), né Bill Maher (quello di Religulous). L’idea è quella di puntare dritti alla spy story alla Jason Bourne (la DreamWorks parla addirittura di “stile alla Stieg Larsson”), perché il personaggio, a metà tra Robin Hood e lo scapestrato terrorista hacker, giovane, globale e dal look rinnovato, si presta moltissimo ad interpretare la figura del protagonista assoluto di trame senza fine.

Non siamo più dalle parti di Oliver Stone e dei suoi JFK e World Trade Center, e l’impostazione dell’Assange cinematografico è simile all’approccio con cui Fincher ha trattato Zuckerberg per The Social Network e forse a qualche filmone del passato, tutto segreti e bugie, come l’indimenticabile Tutti gli uomini del Presidente. La speranza per chi promuove l’Assange cinematografico è di incrociare i generi e di lavorare, come già per il fondatore di Facebook, sulla personalità del personaggio al centro di tutti gli intrighi possibili e immaginabili, e del mondo che cambia intorno a lui (rimanendo sempre lo stesso sotto il profilo del potere imperiale che si dispiega, senza limiti e soprattutto senza confini).

Non manca lo scandalo, ovviamente: che coinvolge (così pare) Assange, due donne svedesi, rapporti sessuali non protetti e una conseguente vicenda giudiziaria internazionale a base di richieste di estradizione e gogna mediatica: i produttori devono avere pensato che gli ingredienti ci sono tutti. Anzi, ce ne sono fin troppi. Proprio quello che serve per sorprendere un pubblico che si è ormai abituato a tutto e per affascinare tutti noi, sia come spettatori, sia come cittadini di un mondo che sfugge alla nostra comprensione. E che nemmeno l’ottimamente informato Assange, in fondo, è riuscito a spiegare. Ci proverà il cinema, come sempre, raccontando la storia di questo improbabile australiano. All’insegna della ricerca della verità che, nonostante tutto, ci muove ancora.

L’articolo è pubblicato su Best Movie di agosto a pag. 45


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