007 Skyfall: la recensione di Giorgio Viaro

Premessa: i colpi di scena in questo ventitreesimo film di James Bond cominciano già dalla sequenza che precede i titoli di testa (e che per altro è anticipata dal trailer), quindi evitare completamente lo spoiler è impossibile. Quel che vi diremo (nel primo paragrafo) accade tuttavia interamente nel primo quarto di film, e lascia spazio – nei restanti tre quarti – a numerosi altri colpi di scena.

James Bond (Daniel Craig) è vecchio. Anzi, è addirittura morto: come accadeva in Si vive solo due volte (spoiler già nel titolo!) – era Connery, anno 1967 – l’agente segreto si becca una pallottola ancora prima dei titoli di tesa. A differenza di quella volta, però, in questo caso l’MI6 non ne sa niente. M (sempre Judy Dench) scrive il suo necrologio, la sua casa viene venduta, le sue cose finiscono in cantina: «normale prassi per un agente celibe e senza parenti».  Poi la sede dell’MI6 salta per aria, altri agenti muoiono, M rischia il posto, e dunque Bond pensa bene di risorgere. Ma non è più lui: ai test attitudinali manca il bersaglio, due flessioni lo mettono in ginocchio e lo psicologo sostiene che non è affidabile. Ha perfino la barba troppo lunga. La missione parte comunque: qualcuno conosce i nomi di tutti gli agenti sotto copertura dei servizi segreti e ha intenzione di metterli su internet al ritmo di cinque a settimana. Urge intervento.

Se Bond portasse una maschera, in Skyfall la sua maschera andrebbe in pezzi, come accade al Cavaliere Oscuro dell’ultimo Batman di Nolan, come accadrà alla prossima incarnazione di Iron Man. Ma Bond dietro si porta solo il fisico (e la Walter PPK), e in pezzi ci va quello: da esibire gli resta una cicatrice, sul petto, grossa come una moneta. Siamo di fronte allo 007 più crepuscolare di sempre: il mondo è allo sbando, l’MI6 si è rifugiato nei sotterranei di Londra, la vecchia guardia è un piccolo esercito di ombre.  E all’origine della nuova minaccia non ci sono potenze est europee o complotti anticapitalisti: l’Inghilterra, l’Occidente, si è fatto a pezzi da solo, ha mandato a morire i suoi figli perché ha perso il senso della misura, delle cose. Nel solo prologo M sacrifica senza battere ciglio due dei suoi agenti.

Ci sono, in questo Bond 23, rivoluzioni e restaurazioni. Le rivoluzioni hanno a che fare con l’attualità, le restaurazioni con la tradizione. Craig sembra quasi un altro Mercenario stalloniano, è il residuo di un’ideologia superata, un patriota senza patria. Quando incontra per la prima volta il nuovo Q – il solito ragazzino mago del computer – viene paragonato a una vecchia nave arenata al largo. La sua dotazione è ridotta a una pistola e a un segnalatore di posizione. M invece non governa da una vecchia biblioteca, dietro a una scrivania di legno massiccio: il palazzo del comando è un palazzo di cristallo, trasparente, futurista, da cui trasforma i suoi uomini in carne da macello. Il nemico è l’Istituzione, e il cattivo di turno viene da lì, è uno dei figli mandati a morire.

Ma se la rivoluzione (quella di Bane,  come quella del Silva di questo Skyfall – straordinariamente caratterizzato da Javier Bardem -, come probabilmente quella del prossimo Mandarino in Iron Man 3) è necessaria per fare piazza pulita dello Stato e delle sue ramificazioni, la rinascita (anzi, la restaurazione: il finale del film in questo senso è esemplare) è affidata appunto all’ultimo patriota, l’”ultimo topo”, quello che ha mangiato tutti gli altri. In questo contesto il villain – come è ormai consuetudine (e torniamo a Nolan) – non è più “Il cattivo”: il Male è prima e dopo di lui (qui addirittura Silva è omosessuale, categoria tipica del politicamente corretto), che si limita a connetterlo, a tenerlo assieme.

Ma naturalmente Skyfall non è solo questo, l’intrattenimento è maestoso. Mendes lavora sui luoghi comuni del canone di Fleming applicandovi il suo straordinario talento per la scelta delle location e un lavoro sontuoso sui set luci. Il film è una gioia per gli occhi, quasi tutto accade al buio: la sparatoria notturna in cima al grattacielo di Shangai, il casinò di Macao,  la resa dei conti nella brughiera scozzese… Con un paio di sequenze nette, frontali, sfacciate, che sono un trionfo (l’entrata in scena di Silva, che in due minuti chiarisce il senso del racconto, o il primo dialogo tra Bond e Q). E non mancano nemmeno le consuete strizzate d’occhio, le autocitazioni (non ve le citiamo per non rovinarvi il piacere), che però in questo caso non sono solo orpelli, hanno anche un valore politico, una seconda lettura ([SPOILER] Bond perde davvero la pazienza solo quando gli fanno saltare in aria la vecchia Aston Martin [fine SPOILER]).

Insomma, che vi interessino le seconde letture o solo lo spettacolo, l’icona, Bond che – nonostante tutto – è ancora in piedi, pagate tranquilli il biglietto. Le due ore passano in un lampo, e – messa la testa sul cuscino – sognerete 007 tutta la notte.

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
La scelta di puntare su un Bond crepuscolare, sorpassato, quasi “stalloniano”

Non mi piace
Non aspettatevi una spy story realistica e perfettamente coerente nell’intreccio: decisamente il film non va in quella direzione

Consigliato a chi
A chi ama il Bond idealista, indistruttibile, ironico. A chi ama gli eroi mercenari un po’ invecchiati di Stallone. A chi ama il cinema crepuscolare e le apocalissi sociali di Nolan

Voto: 4/5

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