Alien: Covenant: la recensione di Mark Hedgehog

IL CREATORE GELOSONE

I prequel della saga di Alien, oltre a indagare sulle origini dell’uomo, nascono da una semplice riflessione: tutti hanno la facoltà di creare? A chi è concesso? Chi dispone del controllo una volta innescato il processo? Tali domande tormentano fortemente sia umani che macchine, ovvero la Dr.ssa Shaw, protagonista di Prometheus, incapace di concepire dentro di se la vita e David, un sintetico screditato dall’uomo e schiavo in quanto macchina che, tentando disperatamente di finalizzare la sua frustrante esistenza crea a sua volta qualcosa che possa ribaltarne irreversibilmente la gerarchia al cospetto del genere umano. Il presupposto dal quale Covenant plasma la genesi di un ritrovato e inedito “ingegnere” e dove, più che in qualsiasi antefatto, tenta di fornire quegli indizi sufficienti per risalire al codice di partenza, attraverso una sobria e adeguata citazione di concetti che da “Frankenstein” a “Blade Runner” fino al più recente “Splice”, stabiliscono l’ossatura portante per il duplice riflesso in scena del creatore stesso, nel primo servile alla ricetta dell’uomo, nel secondo, artefice a sua stessa immagine e somiglianza, schivo a qualsiasi mediazione dei concorrenti in campo. Visivamente Covenant si presenta affascinante, sia per lo sviluppo drammaturgico che scenotecnico. Alquanto funzionali le progressive animazioni degli xenomorfi. Fassbender, nel doppio ruolo di David e Walter, costituisce il perno attorno al quale la scacchiera si dissolve, quasi come un invito a sfidare l’ennesimo e ignaro giocatore in trappola. Dal resto del cast, come da controcampo, emerge una dolcissima e determinata Katherin Waterson, aperta a qualsiasi variabile in gioco. La sceneggiatura in alcuni punti presenta dei piccolissimi nei, forse causati dal taglio in post di alcune scene, per questo senza riuscire a giustificare determinati raccordi, tipo l’avvicendarsi temporale di un primo alieno e improvisamente il successivo, comparso sull’astronave madre, non si sa da dove. A parte questi piccoli difetti e la prevedibilità dei soliti passaggi hitchcockiani sotto la doccia, Covenant, nella sua connotazione stilistica, riesce a convincere, superando qualitativamente il suo stesso prequel e aggiungendo un nuovo tassello ad una saga dall’epilogo sempre aperto, frutto di continue ed inesplorate interazioni tra uomini, macchine e Dei, dove i giocatori in affitto sul campo, divorano i loro avversari duplicandone i ruoli. Si riparte da una singola entità, un “ingegnere” che ridisegni i margini dell’arena sangunaria. L’essenza di Dio, vittima e carnefice.

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