Boy Erased – Vite cancellate, la recensione

L'opera seconda dell'attore australiano Joel Edgerton affronta il dramma della rieducazione sessuale di un ragazzo gay

Boy Erased - Vite cancellate
PANORAMICA
Regia (2.5)
Sceneggiatura (2.5)
Interpretazioni (3)
Fotografia (3.5)
Montaggio (2.5)

Dopo aver subito una violenza al college, il diciannovenne Jared (Lucas Hedges) si fa coraggio e trova finalmente la forza di comunicare ai genitori di essere attratto dagli uomini. Il suo contesto familiare, in quanto ad apertura verso l’omosessualità, non è però dei più semplici: il padre Marshall (Russell Crowe) è un pastore battista dalla granitica e incontrovertibile fede cattolica, mentre la madre Nancy (Nicole Kidman), mostrerà solo qualche spiraglio di comprensione in più verso la sua condizione.

Boy Erased, che letteralmente significa “ragazzo cancellato”, è la seconda prova dietro la macchina da presa dell’attore Joel Edgerton, a tre anni di distanza dal suo esordio con Regali da uno sconosciuto – The Gift. Il racconto di un coming out adolescenziale in cui il regista si ritaglia anche il ruolo del terapeuta Victor, un cattivo discutibile e respingente a capo di una comunità preposta all’abominio della cosiddetta “rieducazione sessuale” (il suo nome, Love in Action, è già tutto un programma).

Il film è ispirato alla storia vera di Garrard Conley, riportata nel suo memoir omonimo, e trova nel talento ormai consolidato di Lucas Hedges (interprete di Manchester By the Sea, per il quale fu nominato all’Oscar, Lady Bird e Ben is Back) un serbatoio di efficacia non indifferente. Un giovane attore che recita alla Ryan Gosling, o per meglio dire come i divi della Hollywood classica: la durezza della sue pose e l’assenza apparente di empatia rispetto ai propri personaggi sembrano essere la sua forza, con in più un rigore chirurgico del volto che gli conferisce una notevole dose di controllo e spigolosità.

Una maschera perfetta per incarnare ragazzi problematici e per la vicenda di un ragazzo gay del quale un pensiero oscurantista e retrogrado vorrebbe immobilizzare gli istinti e le pulsioni, le tendenze naturali e i desideri profondi. Tanto che quando esplode l’emotività, a margine di un percorso forzato di conversione che in molti stati americani continua a trovare posto, il contrasto con l’imperturbabilità del protagonista e con lo stile gelido e asciutto di Edgerton genera una frattura ad alto tasso di rabbia e di coinvolgimento viscerale, sbandando solo di rado verso un pathos un po’ fuori misura.

Dal punto di vista estetico lo sguardo dell’attore e regista australiano è molto attento a scolpire determinate inquadrature, a evidenziare la squadrata asetticità di interni borghesi e bigotti dalle luci piatte e neutre. La freddezza, in più di un’occasione, potrebbe suonare programmatica, ma è palese l’attenzione alle performance degli attori e al loro modo di interagire con gli spazi e con i propri, latenti o espliciti, demoni interiori.

E non c’è dubbio, a questo proposito, che Boy Erased funzioni meglio nei momenti sussurrati che in quelli più urlati, a riprova di una discreta sensibilità del regista australiano nello scavare sotto l’epidermide del dolore. Un’abilità evidente nel guardare più in profondità rispetto alle esplosioni di violenza che emergono repentinamente sullo schermo e nell’utilizzare le proprie immagini nitide e intransigenti come antidoto, diffuso, al patetismo.

La prova massima, in questo senso, è il rigore quasi clinico col quale vengono utilizzati Russell Crowe e Nicole Kidman. Entrambi perfetti, per adesione mimica e per uso dei corpi e dei primi piani, nel restituire un amore familiare e genitoriale schiacciato da evidenti miopie culturali, opacizzato dall’indignazione e dalla paura, degne di compassione, con le quale indirizzato il proprio figlio verso un percorso di de-formazione frustrante e inaccettabile. Senza per questo trovare una catarsi personale, ma ricadendo anche loro, in fondo, nel medesimo baratro dal valore esemplare.

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