Cosmopolis: la recensione di Giorgio Viaro

Eric Parker (Robert Pattinson), giovane miliardario newyorkese, decrittatore instancabile dei mercati finanziari, che studia dai monitor della sua limousine, non capisce il suo corpo. Per esempio: “ha la prostata asimmetrica”. Per esempio: vuole un nuovo taglio di capelli, ma non sa bene quale. Si fa visitare tutti i giorni da un medico, si fa portare dall’altra parte della città per farsi rasare dal vecchio barbiere di papà. L’ipocondria lo tormenta. I mercati si comportano male. Sua moglie non vuole più fare sesso con lui. Rischia la bancarotta. Qualcuno lo vuole ammazzare. E la città è in agitazione per la visita del presidente: un’enorme parata No-Global intasa il centro di Manhattan.

Cronenberg trasforma una limousine in un’astronave, un salotto al neon in cui Eric/Pattinson attraversa/sorvola l’Apocalisse, in cerca di risposte, di modelli, di rassicurazioni (“voglio comprare una cappella”), incontrando dipendenti, amici, prostitute, amanti. Fondamentalmente è depresso, e questa depressione è assieme causa e conseguenza del tracollo del suo mondo, e forse del mondo tutto; dice “L’omicidio è la logica conseguenza del business”, ma forse pensa al suicidio. È ipocondriaco perché “morire è uno scandalo”, ma sopravvivere con troppa precisione lo ha esaurito. Si spara in una mano, cerca il suo assassino, uccide chi lo protegge. Intanto il denaro muta (cronenberghianamente) in topi, le pistole in giocattoli, ridicole, e l’informazione (lo diceva pure Martin Amis) in veleno. Quel che vorremmo ci salvasse, metterà fine a tutto.

Tratto da uno dei romanzi più folli e meno amati di Don DeLillo, Cosmopolis officia il matrimonio tra David Cronenbergh e il nuovo millennio, l’Eta dei tecnocrati e di ogni Crisi possibile (tra cui alcune del tutto nuove, inventate ad hoc), affamata del progresso che la sta consumando. Come se l’autore canadese volesse rimettersi in pari con la Storia dopo le metafore di A History of Violence e La promessa dell’assassino, e l’autoanalisi di A Dangerous Method. Lo strumento della sua ricerca è Robert Pattinson, cioè il caso limite del divismo contemporaneo, tanto inespressivo/inadeguato quanto desiderato, riprodotto, venerato. Non poteva scegliere meglio: R-Pattz ha un volto che buca lo schermo, una fissità che lo corrode, ed è il corpo-simbolo di questi anni dissanguati. Chi lo vuole guardare, qui ne godrà fino a impazzire.

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Mi piace
Cronenberg si mette al passo con la storia, senza perdere il tocco né la propria poetica per strada

Non mi piace
Davvero ostico per chi non abbia una certa predisposizione per il cinema molto dialogato e carico di metafore

Consigliato a chi
A chi ama i film che non nascondono la loro origine letteraria, anzi: la sbandierano fieri

Voto: 4/5

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