Fai bei sogni: la recensione di Mauro Lanari

“Ci sono delle ovvietà che sconvolgono.” In negativo, ma sconvolgono. Pover’il Rimbaud de “Je m’en allais, les poings dans mes poches crevées”, non si merita l’imperterrita deriv’anticonoclasta d’un Bellocchio senior che, individuat’i capri espiatori nel Cristianesimo e nella “napoleonica falsità”, “i simboli, i simulacri, le icone dell’autorità e del potere”, a ogni film rilancia dal matricidio d’oltre mezzo secolo fa al radicale pannelliano e poi al radical-chic, al cinema com’azienda di famiglia con dentro figli e parenti e a questo bestseller ancor’una volta kübler-rossiano però italiota e quind’incorreggibilmente mammone. Cast e fotografia son’in gran parte sprecati. Il nascondino dell’epilogo sarebb’un liber’adattamento del rocchetto del nipote di Freud e dunque dell’infantil’elaborazione del lutto per la madr’assente? Didascalica “psicologia in pillole”, davvero graffiante, appassionante, avvincente. In una parola: borghese.

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