Il GGG – Il grande gigante gentile

Il grande gigante gentile è un racconto per ragazzi che riconcilia con il piacere dell’ascolto e dello sguardo, un’opera narrativamente devoluta e apparentemente candida (per Spielberg, ci sentiamo di poter spendere l’aggettivo). Tratto da un romanzo per l’infanzia di Roald Dahl, racconta la storia di Sophie, una bambina insonne che vive in un orfanotrofio, e una notte, curiosando qualche istante di troppo fuori dalla sua finestra, viene rapita dal gigante del titolo, che la porta nella terra dei giganti, dove di lavoro raccoglie i sogni dagli alberi, per distribuirli di notte alla gente. Vegetariano e maniaco di un intruglio verde che gli induce dei peti fragorosi, vive però circondato da creature ancora più grandi di lui, sciocche e carnivore, che minacciano Sophie, e forse non solo…

Nonostante il film sia girato con l’uso della performance capture, la CGI non va oltre le ragioni del contesto (il conflitto “dimensionale” tra Sophie e il mondo fantastico in cui si ritrova), ed anzi in certi punti ha un’aria un po’ impacciata (come quando il gigante corre e salta tra gli alberi, a inizio film). Si tratta poi di un approccio misto, alle volte è la bambina a ritrovarsi in uno scenario fantastico, e alle volte è il gigante che si infila nel nostro mondo “live action”, tanto che i primi riferimenti che vengono in mente sono film come Mary Poppins o Pomi d’ottone e manici di scopa, dove questo passaggio continuo (lì si trattava ovviamente di attori in carne e ossa in scenari bidimensionali disegnati, e viceversa) rappresenta la permeabilità tra la realtà e il sogno. Punti di contatto si intravedono anche con il cinema di Miyazaki stesso (la presenza buffa e silenziosa degli animali domestici, la ricerca di un equilibrio tra uomo e natura, la naturalezza con cui impossibile e reale si fondono) e più in generale con tutta la narrazione dei classici Disney (La pianta del fagiolo magico, Alice nel paese delle meraviglie).

Ma sarebbe anche ingiusto non riconoscere il merito e la firma di chi su questo tipo di stupore, di fiducia nelle storie come una medicina e un rifugio, ha costruito la propria professione e la propria vita, cioè Roald Dahl e Steven Spielberg.

Mi piace: il candore delle opere di Dahl e Spielberg, che funzionano da medicina e rifugio.

Non mi piace: i punti un cui la CGI si fa impacciata.

Consigliato a chi: ama immergersi in un cinema in cui i confini tra realtà e sogno sono tenuissimi.

VOTO: 4/5

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