Gigolò per caso: la recensione di Marita Toniolo

La Crisi si è abbattuta anche sulle piccole comunità di New York. Murray (Woody Allen) è un americano di origine ebraiche costretto a vendere la libreria bibliofila di famiglia, mentre l’italoamericano Fioravante, appassionato di musica lirica si barcamena tra mille lavoretti: elettricista, idraulico e artista floreale. Ma a Murray è scattata l’idea del secolo. Interpellato dalla sua dermatologa su un possibile terzo elemento da inserire in un “menage a trois” decide di porre fine ai problemi economici suoi e dell’amico, reinventandosi “pappa”, col curioso nome di Don Bongo, e proponendo a Fioravante la carriera da gigolò. Fioravante è riluttante, ma ha una predisposizione naturale per il lavoro: riservato, pacato e pieno di attenzioni, ha sempre attratto le donne con quel fare distaccato dell’uomo che non ha bisogno di avventarsi sulle donne, ma può tranquillamente attendere.

Condiviso da due milf arricchite di Park Avenue, interpretate da Sharon Stone e Sofia Vergara sempre in gran forma, Fioravante si presta a soddisfare le loro fantasie, siano esse legate alla danza o al massaggio con sollecitudine. Mentre Murray fa marciare il business trovando nuovi contatti , Fioravante non aveva preso in considerazione l’ipotesi di innamorarsi. Finché Murray non gli propone Avigal (Vanessa Paradis), giovane vedova di un rabbino, che – senza la traccia di alcun rapporto carnale – abbatte tutte le sue resistenze. Peccato che il suo amore debba scontrasi contro la comunità chassidica e Dovi, un poliziotto ebreo ortodosso da sempre infatuato della ragazza.
Con lo stesso amore e la stessa delicatezza con cui si prende cura delle sue composizioni floreali, Fioravante scuote nel profondo Avigal e al contempo viene trafitto dagli sguardi pudici ma frementi di desiderio di lei. Due solitudini che si incontrano e si guariscono a vicenda. Così si compie la parabola: da uomo-oggetto, uomo-merce, il bell’italiano silenzioso si trasforma in terapeuta dell’amore, lenendo e fungendo da balsamo riparatore alla vita di donne trascurate ingiustamente da mariti assenti o purtroppo deceduti.

Per quanto il titolo possa far pensare a una moltitudine di scene di amplessi retribuiti, magari alleggeriti dalla nota lieve tipica dello stile del regista, in realtà il sesso tout court è il protagonista più assente di questa pellicola, dove il taciturno Fioravante accarezza più le anime che i corpi delle sue protagoniste, col suo ascolto devoto, con la sua paziente solerzia. L’ipotesi di un amore clandestino, benché osteggiato con la bella Avigal più di tutto scardina la routine di lui, spezza il suo isolamento, permettendogli di reinventarsi o sentirsi quanto meno nuovo.

E il buon Woody qui non veste il ruolo di cosceneggiatore, ma torna a essere attore a tutto tondo con il suo umorismo così personale, col suo ebraismo così incarnato, col suo essere così figlio di una New York piena di pennellate etniche, da essere quasi aliena e tanto retrò. Ma è il sentimento, con le sue note più delicate, i suoi risvolti più dolceamari e i suoi impulsi non espressi, così ben raccontati dagli occhi mesti del suo protagonista a dominare in questa pellicola così direttamente proporzionale alla maturità raggiunta dal suo autore, uomo “lui sì che capisce le donne”, mosca bianca in un mondo che le strumentalizza e le manipola, conosce il linguaggio segreto del loro cuore.

Mi piace: il tono agrodolce e la temperatura emotiva mai surriscaldata della pellicola. La New York delle comunità etniche. Le attrici sensuali, ognuna a suo modo.

Non mi piace: l’assenza di ritmo di certi passaggi, come pure una certa ripetività

Consigliato a chi: conosce bene lo stile di Turturro. A chi cerca il Romance d’autore

VOTO: 3/5

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