Hereditary: la recensione di aleotto83

Un film horror è come un vino, per piacerti non deve essere pesante, ma inebriarti al punto giusto senza lasciarti alla fine con la sensazione di nausea: allo stesso modo una pellicola di questo genere non deve puntare tutto sullo spavento, ma entrarti sottopelle creando dentro di te una sana inquietudine.
Hereditary è un horror che sa mettere in scena tutto il repertorio delle paure possibili, concentrandolo in due ore di tensione senza tregua , non risultando indigesto né cercando il sobbalzo facile.

La trama ruota intorno alle vicende dei Graham, una normale coppia americana con due figli adolescenti: la madre Annie (Toni Collette) è un’artista che trasforma il proprio dolore in arte, attraverso bellissimi modellini, il padre Steve (Gabriel Byrne) è buono e stoico nel sopportare ogni imprevisto per il bene dei suoi familiari, poi c’è il figlio maggiore Peter (Alex Wolff), che anestetizza le pene dell’adolescenza fumando di continuo marijuana, ed infine la figlia tredicenne Charle che è inquietante all’ennesima potenza, già solo per lo sguardo disarmonico dell’attrice ragazzina che la interpreta; non me ne voglia la giovane Milly Shapiro, che di certo avrà la strada spianata per una lunga carriera da caratterista del genere!

Bastano quindi poche sfumature per presentare i componenti della famiglia protagonista che, ammettiamolo, non se la passa bene nemmeno per un momento e già dal primo fotogramma è alle prese col dolore: il film inizia infatti con la morte della madre di Annie e i tentativi di quest’ultima di elaborarne la perdita, cercando contemporaneamente di liberarsi del fardello psicologico che la defunta le aveva imposto quando era in vita.
L’altro familiare che non riesce a superare il lutto è la piccola Charlie, una preadolescente un po’ sociopatica che aveva un legame speciale con la nonna.

I protagonisti hanno una facciata, non riescono a comunicare tra di loro e si nascondono i propri stati d’animo l’un l’altro, mentre gli eventi li mettono di continuo alla prova, demolendo loro i nervi.
Ma non è uno di quei film in cui tutto potrebbe essere solo una paranoia, una fantasia o un sogno di un personaggio, le disgrazie accadono e quando gli eventi colpiscono lo fanno in modo scioccante.

Presenze nel buio, percezioni distorte, spiritismo e premonizioni sono gli elementi essenziali di Hereditary, che a livello iconografico si avvale di tutto ciò che può essere inquietante: casette illuminate e miniature, una strana casa sull’albero e la classica soffitta, a far da contenitore a disturbi ben più grandi come la dipendenza dalle droghe, la malattia mentale come condanna del proprio corredo genetico, ed infine l’esoterico che sfocia nel fanatismo.

Di certo le fonti di ispirazione sono molte, spesso il film attinge a mani basse da classici del genere horror come L’Esorcista, Shining e Rosemary’s Baby, ma riesce a rielaborare il materiale in modo intelligente, in modo che anche un semplice schiocco di lingua o un riflesso della luce su un vetro possano diventare elementi disturbanti.

Data la sua maestria nel manipolare le immagini e i punti di vista, viene difficile pensare che il regista Ari Aster sia un esordiente e che prima di Hereditary, con cui ha sbalordito pubblico e critica del Sundace Festival lo scorso gennaio, abbia girato solo cortometraggi.
Aster è bravissimo a capire quando deve mostrare apertamente l’orrore e quando invece ottiene un effetto migliore non mostrando ciò che i protagonisti vedono, ma facendo vivere l’emozione al pubblico attraverso la reazione impressa sui loro volti.
Ed in questo nessuno tiene testa alla sorprendente Toni Collette, in uno dei ruoli femminili più sfaccettati di questo 2018: dapprima è una madre solida e sicura ,che poi sprofonda in abisso di pazzia.

Per tutto il film ci si chiede quale sia la connessione del titolo col senso della storia e devo dire che alla fine, riflettendoci, ve ne sono diverse e tutte quante molto acute, vi invito a scoprirle.

Non è un horror prevedibile, che fa sorridere o sbadigliare, Hereditary fa davvero paura perché si avvale del soprannaturale quanto basta, ma l’inquietudine parte sempre dall’elemento umano, attraverso la tragedia ed il lutto, e punta molto sull’orrore psicologico, sulla percezione, sul disturbo della volontà che non diventa mai apertamente pazzia ma sa giocare con le sue sfumature: si focalizza sulle dinamiche familiari, sulla chiusura nei rapporti, sulle ferite che le nostre parole ed azioni possono provocare a chi amiamo.

In veste di spettatori in sala si sta contratti, silenziosi e anche un po’ rassegnati al fatto di trovarsi di fronte a un film che è come un piano inclinato, che ci fa scivolare lentamente dentro l’orrore, e che prima di lasciarci andare ci metterà davvero un bel po’ di strizza!
Vi è molta ansia preparatoria, unita a una pesantezza emotiva quasi insopportabile, ma è il bello degli horror e devo dire che questo fa il suo dovere fino in fondo.
Alcune delle situazioni sono talmente ben girate e montate che sembrano innovative pur non essendolo del tutto e mettono addosso quel tipo di inquietudine che ti accompagna anche fuori dal cinema, fino al momento in cui ti troverai da solo e dovrai spegnere la luce..

Concedetemi una breve riflessione sul finale, di cui ovviamente non posso dir nulla ma soltanto che non è mai facile dare una chiusura accettabile ad una trama che degenera profondamente come questa, molti possono rimanere delusi ma quello che fa il regista, come per le altre scene del suo film, è frutto di un attento calcolo.

Se siete in cerca di brividi estivi non abbiate dubbi, Hereditary vi metterà alla prova con tutto il catalogo degli spaventi possibili!

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