Il grande e potente Oz: la recensione di Gabriele Ferrari

Molte, troppe cose potevano andare storte con Il grande e potente Oz. La Disney che ha dimostrato di aver perso il tocco magico quando si tratta di fiabe con il tremendo Alice in Wonderland di Tim Burton. Sam Raimi che ha salutato la trilogia di Spider-Man con un terzo capitolo completamente sbagliato, e che per Oz tornava a girare con un attore (James Franco) con il quale aveva dichiarato che non avrebbe più voluto avere niente a che fare. La Metro-Goldwyn-Mayer che non ha concesso i diritti di immagine del film del 1939, costringendo regista e sceneggiatore a lavorare il canone ai fianchi per scrivere un prequel senza citare la pellicola di riferimento. La scelta dell’odiatissimo 3D. Una campagna promozionale non all’altezza di un kolossal Disney. C’era scetticismo, insomma, forse addirittura sarcasmo.

A conti fatti, al momento in cui compare la scritta The End e la storia di Oscar Diggs si chiude per lasciar posto a quella (ben nota) del Mago di Oz, Raimi si dimostra calco registico del suo protagonista: prestigiatore, illusionista, anche bugiardo, ma dannatamente bravo a intrattenere e a far credere che.

È un prequel, ma la storia del Grande e potente Oz assomiglia più a un remake mascherato: c’è un abitante del Kansas insoddisfatto della sua vita – James Franco, protagonista ideale, che per quante meraviglie rimiri non abbandona mai l’aria scettica dell’intrattenitore navigato, quello che se vede qualcuno volare nota subito i fili che lo sostengono –, c’è un tornado, c’è l’arrivo nel colorato mondo di Oz e la successiva avventura per salvare gli abitanti oppressi dalle grinfie di una (due? Tre?) strega. Ci sono lezioni morali e momenti di romanticismo, grandi invenzioni visive e creature buffe che svolazzano per lo schermo. Ci sono scimmie parlanti e palazzi di smeraldo, spaventapasseri e leoni codardi. La differenza con l’originale la fa il modo in cui il “terrestre” mette piede a Oz: se Dorothy era una ragazza di campagna, ingenua e meravigliata, Oscar Diggs è un truffatore e un rubacuori, epitome dell’adorabile sbruffone egoista che è impossibile non amare. E infatti sono in tre ad amarlo: Evanora, Glinda e Theodora (rispettivamente Rachel Weisz, Michelle Williams e Mila Kunis), streghe e imperatrici di Oz, forse di buon cuore, forse crudeli e manipolatrici tanto quanto Oscar; e ci fermiamo qui, perché qualsiasi dettaglio sul secondo atto del film è a rischio spoiler, e mette a repentaglio la tenuta di una trama che fa delle continue sorprese uno dei suoi punti di forza.

Perché il mondo di Oz è sempre stato così: sorprendente, folle, fiabesco ma non sognante, piuttosto vibrante di vita e colori; ed è commendevole che Raimi decida di sposare appieno questa filosofia senza porsi limiti tecnologici o creativi. Se nell’originale i fondali dipinti a mano erano padroni della scena, qui è una CGI cartoonesca e dare il tono al film, un’esasperazione dei look burtoniani (si veda anche La fabbrica di cioccolato) che contribuisce a immergere chi guarda in un mondo talmente finto da sfociare nell’iperrealismo. Poco importa a Raimi che lo stacco tra gli attori e il resto del mondo di Oz sia, almeno all’inizio, un pugno in un occhio: il suo film è un palcoscenico, una recita per ragazzi nella quale però si può anche perdere la vita, se non si fa attenzione. D’altra parte, a supportare Franco sono una scimmia volante che parla (con la voce di Zach Braff) e una deliziosa bambolina di porcellana (Joey King), non altri attori in carne e ossa.

Il grande e potente Oz è, prima di tutto, una fiaba per ragazzi, che parla di amore e gelosia (da tenere d’occhio in particolare la Kunis, la migliore delle tre streghe), dell’arte di arrangiarsi e di come credere in qualcosa sia più importante della cosa stessa. È anche un parco giochi, nel quale il regista è il primo a divertirsi – tra un cameo di Bruce Campbell, una foresta di alberi carnivori e tre o quattro soggettive che sono un suo marchio di fabbrica. È indubbiamente un film ad alto tasso zuccherino, con una colonna sonora che spesso esagera nel sottolineare il melodramma e qualche momento di diabetica stanca nella parte centrale. Ma è (soprattutto?) un prequel che funziona alla perfezione, rispettando la fonte, ammiccando quando possibile, integrandone la storia con una vicenda credibile e appassionante da scoprire. Chi si aspettava un disastro rimarrà piacevolmente colpito.

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Mi piace
La regia di Raimi e le sue scelte artistiche: l’alternanza di CGI (per i paesaggi) e set veri (per gli interni) è un’alchimia bizzarra, rischiosa e vincente. James Franco nei panni del truffatore sempre scettico è perfetto.

Non mi piace
Va bene fare un film per ragazzi, ma a tratti Oz esagera: troppe didascalie, troppo melodramma, troppa ripetizione.

Consigliato a chi
Ama Oz, ama Raimi, ama le favole Disney: le tre cose si sono incontrate e si sono piaciute molto da subito.

Voto: 3/5

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