Il ritorno di Mary Poppins

L’incanto della magica governante si rinnova

Il ritorno di Mary Poppins: la recensione
PANORAMICA
Regia (3)
Interpretazioni (2.5)
Sceneggiatura (2.5)
Montaggio (3.5)
Fotografia (3.5)
Effetti speciali (4)

Londra, 1930. Michael Banks (Ben Whishaw) ha ormai raggiunto l’età adulta ma continua ad abitare al numero 17 di Viale dei Ciliegi e lavora presso la Banca di Credito, Risparmio e Sicurtà di Londra. Il suo impegno non gli dà però alcuna stabilità, sua moglie è venuta tragicamente a mancare e al suo fianco c’è l’affettuosa e premurosa sorella Jane (Emily Mortimer). La nuova, improvvisa irruzione della magica tata Mary Poppins (Emily Blunt) cambierà nuovamente le carte in tavola. 

Il ritorno di Mary Poppins ci riporta al ricordo del leggendario film del 1964, entrato nel cuore di più di una generazione di spettatori e capace di fissare per sempre nell’immaginario collettivo l’icona della governante più incantevole e sorprendente di tutti i tempi. La donna che, dotata di ombrello e valigia, atterrava in casa Banks, era interpretata a quel tempo da Julie Andrews, che con questo ruolo si portò a casa un Oscar ma anche un’interpretazione destinata all’immortalità. 

A interpretarla, 54 anni dopo e in un sequel sulle avventure della creatura della scrittrice australiana Pamela Lyndon Travers, c’è Emily Blunt, con in volto la severità rivestita di candore adeguata per il ruolo. Mary Poppins “non è invecchiata di un giorno”, come le dice Michael, e siamo nel periodo della Grande Depressione, al tempo in cui fu scritto il primo degli otto libri della serie, datato 1934. Al centro del nuovo film di Rob Marshall, regista di Chicago che prosegue in scia al suo ultimo musical fiabesco, Into the Woods, troviamo anche i figli di Michael, Annabel, John e Georgie, orfani di madre e incastrati in un commovente, per quanto doloroso, percorso di maturità forzata. 

L’irruzione di Mary Poppins sarà ovviamente una ventata di immaginazione, la concretizzazione, istantanea e travolgente, di ogni possibile sogno di evasione dalla realtà e dalle sue strettoie. È lo spirito da cui si lascia amabilmente guidare questo ritorno sul grande schermo del personaggio, congegnato ad altezza di bambino e ricalcato fedelmente sull’originale, perfino nella scansione di tempi e sequenze. Con una fusione di animazione e live action egualmente replicata, ma trova nelle disponibilità industriali del cinema di oggi, e nel tocco inimitabile di Pixar e Walt Disney Animation Studios, la conferma del valore di uno stupore senza tempo.

Il gusto artigianale del vecchio film di Robert Stevenson, il suo tepore vintage e retrò sono ovviamente e parallelamente azzerati, ma Rob Marshall sopperisce a questo deficit fisiologico giocandosi con efficacia tutte le sue carte, sia sul versante delle scenografie e delle coreografie che sul fronte degli inserti musical, che riportano a un clima nostalgico che fa il pieno di tenerezza e, soprattutto, di utopia. Perché la storia di Mary Poppins, col sense of wonder primordiale che risveglia e porta con sé, in fondo è quanto di più utopico si possa immaginare di riportare al cinema di questi tempi.

Non a caso Il ritorno di Mary Poppins cerca un appiglio col reale puntando sull’ostilità verso un perfido banchiere, il signor Wilkins (Colin Firth), che dietro una facciata umana cerca in realtà in tutti i modi di pignorare casa Banks. Insegue il calore di un classico natalizio senza tempo, ma lo plasma secondo nuovi codici (ci aggiunge Meryl Streep e Angela Lasbury, a suo tempo a un passo dal ruolo). Lo avvicina allo spettatore contemporaneo, prolunga la sospensione dell’incredulità, la tira a lucido. Torna a renderci plausibile, nonostante tutto, perfino il tip tap ballato insieme a dei pinguini. Un invito, in scia a un ottimismo forse anacronistico eppure indispensabile, a tornare a sintonizzarci col “bambino che vive in ognuno di noi”, come diceva Walt Disney. Per far soffiare aria nuova, dentro di noi e non solo su Londra.

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