Iron Man 3: la recensione di Gabriele Ferrari

Tutto si può dire di Shane Black tranne che gli manchi il coraggio. Alla seconda regia della sua vita si è ritrovato tra le mani il capitolo finale di una saga tra le più amate dell’universo cinecomic – seconda forse solo a Batman in questo senso – e, piuttosto che andare sul sicuro con un film telecomandato, ha deciso di imprimere a fuoco il suo tocco e la sua visione dell’uomo di ferro. Il risultato è un’epica non priva di difetti e punti deboli, ma sorprendente, soddisfacente come conclusione della trilogia e – innegabile – molto, molto divertente.

Gli Avengers, non serve girarci intorno, hanno cambiato tutto. Per Tony Stark, che costretto a confrontarsi per la prima volta con un avversario più grande di lui (nonché alieno) ne è uscito con l’ego a pezzi: l’armatura è diventato un rifugio più che un’arma, l’unico luogo sicuro per un ex-egomaniaco che soffre di attacchi di panico e incubi ricorrenti. Il risultato è che, questa volta più delle altre, non siamo di fronte a una classica storia di supereroi, ma a un film su Iron Man, su Tony Stark e sul rapporto tra le due identità. Persino il villain, il Mandarino di Ben Kingsley, è un terrorista ossessionato dall’eroe, un gemello cattivo che può esistere perché esiste quell’armatura, un riflesso nero come la pece di tutti i difetti del miliardario filantropo playboy – o ex-playboy, visto che il rapporto con Pepper (Gwyneth Paltrow in formissima, e finalmente centrale per la trama) ha assunto ormai i tratti della convivenza matrimoniale. Iron Man è cresciuto?

In parte: l’influenza del capolavoro di Joss Whedon si vede anche nella scrittura del personaggio e delle situazioni, e se gli Avengers avevano accentuato il lato istrionico di Tony Stark, Iron Man 3 lo esaspera. Altro che cupezza e introspezione, il terzo capitolo della trilogia è anche quello più francamente comico, uno one (Iron) Man show in cui Robert Downey Jr. si mangia letteralmente la scena a suon di battute e gag da slapstick. È netto il contrasto con i “cattivi”, con la crudeltà del Mandarino, con l’ambiguità dell’ex fiamma di Tony Maya (Rebecca Hall, bellissima), con l’ambizione superomistica di Aldrich Killian (Guy Pearce nella sua miglior imitazione del personaggio già proposto in Prometheus), scienziato le cui ricerche potrebbero avere conseguenze inaspettate anche per Tony; forse troppo netto, al punto da sminuire l’impatto anche delle sequenze più epiche: difficile prendere troppo sul serio una minaccia terroristica quando nella stessa inquadratura compare Downey Jr. che gigioneggia.

I problemi di Iron Man 3, purtroppo, non finiscono qui: troppo lungo, a tratti trascinato, soffre anche di una certa sciatteria nelle soluzioni narrative; troppo spesso viene da esclamare: «Questo non ha senso!» di fronte a uno snodo di trama. L’impressione, anche guardando agli altri cinecomic Marvel, è che Kevin Feige abbia deciso che nei film della Fase Due vale tutto e la coerenza narrativa sia un optional subordinato allo spettacolo puro. Che è poi il vero punto di forza di questo film: la (già spoileratissima) sequenza dell’attacco a villa Stark riempie gli occhi, e senza scendere in dettagli possiamo comunque affermare che l’immancabile battaglia finale è il punto più alto dell’intera trilogia. E forse, a conti fatti, è il dettaglio più importante e l’unico che conta: pur con tutti gli inciampi e le leggerezze della prima ora e mezza, Iron Man 3 è di quei film che ti fanno uscire dalla sala con il sorriso e l’adrenalina a mille. I fan non chiedevano altro.

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Mi piace
La comicità e il carisma di Robert Downey Jr.. Il gruppo dei villain. La battaglia finale.

Non mi piace
Troppo lungo e a tratti noioso. La sceneggiatura fa acqua da tutte le parti.

Consigliato a chi
A chi ha amato i primi due capitoli, gli Avengers e il mondo cinecomic in generale.

Voto: 3/5

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