La frode: la recensione di Andrea Facchin

Robert Miller ha tutto ciò che un uomo possa desiderare: è un magnate della finanza stimato da tutti, ha una splendida famiglia che lo adora, e pure un’amante con la metà dei suoi anni. La crisi economica, però, si è fatta sentire anche per lui, e per evitare di finire in bancarotta, ha contraffatto i bilanci della sua società. Prima che le frodi vengano smascherate, deve riuscire a vendere l’azienda ad una grossa banca: quando l’accordo sembra vicino ad una conclusione, però, commette un errore fatale che rischia di mettere in serio pericolo la sua vita professionale e privata.

All’esordio dietro la macchina da presa, Nicholas Jarecki costruisce un thriller intenso, che per ambientazione (il mondo dell’alta finanza) e caratteristiche del protagonista ricorda Wall Street di Oliver Stone: Miller (Richard Gere) è una nuova incarnazione di Gordon Gekko, un antieroe abilissimo nel manipolare le persone che lo circondano, e che ha il denaro come unica bussola. Le sue scelte, nonostante siano moralmente discutibili, lo rendono umano agli occhi dello spettatore, che non riesce mai a disprezzarlo del tutto. La sua ambivalenza traspare fin dall’inizio, quando prima festeggia con moglie e figli il suo sessantesimo compleanno (con tanto di discorso di ringraziamento), e poi corre dalla giovane amante Julie, un’artista francese a cui presta volto e corpo Laetitia Casta. Ma è nella parte centrale del film che assistiamo alla vera dimostrazione di tutta la sua ambiguità e mancanza di scrupoli: per uscire dalla situazione critica in cui si trova, Miller disegna un intricato labirinto di menzogne e sotterfugi, in cui non ha nessun problema a trascinare con sé amici e parenti. Benché la sua posizione sembri irrimediabilmente compromessa, non dà mai la sensazione di crollare, come se avesse sempre un asso nella manica da giocare.

Trovargli un avversario degno non era cosa da poco, ma Jarecki – anche sceneggiatore della pellicola – è riuscito nell’impresa, creando il detective Michael Bryer (Tim Roth), un poliziotto strafottente e sbrigativo determinato ad incastrare il protagonista. Perfetta la contrapposizione tra i due personaggi: da una parte la sicurezza imperturbabile di Miller, dall’altra gli atteggiamenti spesso rabbiosi dell’ispettore. Nasce così un duello avvincente, fatto di giochi d’astuzia e colpi bassi, che tiene ritmo e tensione sempre alti.

Ma se per la giustizia Miller è praticamente un intoccabile, non lo è all’occhio della sua famiglia, forse l’unico tassello della sua vita che l’uomo non è in grado di controllare del tutto. Peccato che Jarecki si concentri soprattutto sui problemi giudiziari del protagonista, tralasciando dinamiche della sua vita famigliare che sarebbero potute essere approfondite. Tra questi c’è senza dubbio il rapporto con la figlia erede Brooke (Brit Marling), che si trova invischiata suo malgrado nelle grane del padre e avrebbe meritato maggior spazio. Stesso discorso per la moglie Ellen (Susan Sarandon), che addirittura scompare dalla scena per due terzi della pellicola, salvo poi ritagliarsi un ruolo determinante nel finale.

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Mi piace
I personaggi non banali, il livello di tensione che non cala mai e il duello tra Miller e l’ispettore Bryer

Non mi piace
Il poco spazio riservato alle dinamiche famigliari della vita del protagonista

Consigliato a chi
È in cerca di un thriller raffinato, con un cast di prim’ordine

Voto: 3/5

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