La notte del giudizio: la recensione di Giorgio Viaro

La fantascienza sociale, distopica, è un mondo a parte. Anzi, per alcuni non è nemmeno fantascienza, specie quando si tiene alla larga – e succede quasi sempre – da viaggi spaziali e invasioni aliene. L’idea è di prendere le storture della società in cui viviamo ed estremizzarle, o farne una caricatura, fino a ottenere un mondo che sia uno slittamento pessimistico del nostro. Blade Runner, V per Vendetta, I figli degli uomini, Hunger Games sono distopie.
Il problema, con questi film, è che corrono sempre un doppio rischio: quello della predica e quello dello stereotipo. Il rischio della predica è implicito all’idea stessa di caricatura: realizzare una distopia significa muovere una critica, e la critica sociale è spesso ovvia, pedante. Mentre quello dello stereotipo dipende dalla materia: le società malate si assomigliano tutte, e quindi anche le loro parodie.
Non è un caso se molta della fantascienza distopica che si ricorda con più affetto è fatta di B-Movie come Equilibrium o Z-Movie come Anno 2000: la corsa della morte: sono film poveri, che vanno al sodo, alleggerendo la propria lezione di fantastoria con il piacere dell’exploitation, e lasciando la morale in sottofondo. Devono vendersi bene costando poco, quindi espongono tutta la merce che hanno in magazzino: generalmente, sono delle fragorose mattanze.

Si attacca a questa tradizione The Purge – La notte del giudizio, che racconta di un prossimo futuro (il 2022) in cui il tasso di criminalità sociale è stato azzerato permettendo a tutti di “sfogarsi” una notte all’anno, a Marzo. Il primo giorno di primavera, per 12 ore, dalle 7 della sera alle 7 del mattino, ogni crimine è lecito e resterà impunito. A pagarne le conseguenze è la famiglia di un uomo (Ethan Hawke) che si è arricchito proprio progettando sistemi di sicurezza.
Ecco, la cosa bella di The Purge è che la metafora è semplice, la morale condivisibile, e il racconto svelto. Prima di tutto: la legalizzazione temporanea dell’omicidio – e quindi della sua accettabilità come strumento sociale – è uno slittamento piccolo ma preciso del modo in cui gli americani intendono il Secondo Emendamento, ovvero della loro politica sul possesso delle armi. Secondo: la produzione delle armi porta alla produzione di steccati e barriere, ma steccati e barriere sono facili da scavalcare, aggirare, sradicare. Come spiega bene il protagonista, servono a scoraggiare i malintenzionati, ma niente è impenetrabile. E anche questa mi sembra una bella metafora della liquidità interclassista della violenza.
Un po’ più debole è invece la parodia dell’invidia borghese, o il richiamo alla solidarietà come unica rivoluzione possibile, che pendono appunto sul versante predicatorio, ma trovano comunque una loro collocazione coerente nella storia.

La cosa migliore che si può dire del film, comunque, è che non perde tempo e, quando c’è da sporcarsi le mani, se le sporca. Dimenticatevi le interminabili cacce del gatto al topo delle home invasion a cui ci siamo abituati: qui la lezione di Carpenter è ben spesa. Finché la minaccia resta fuori, la tensione cresce; quando penetra, scatta la mattanza, e in dieci minuti è tutto finito. Poi, piccolo twist finale che non sorprenderà nessuno.
Ma insomma: il film è veloce, brutale, giusto.

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Mi piace: film veloce e brutale, con sottotesti interessanti

Non mi piace: la ricerca della metafora perfetta comporta qualche sospensione della credibilità di troppo

Consigliato a chi: ai carpenteriani, in cerca di qualcosa che possa risvegliare ricordi e passioni del cinema del maestro

Voto: 4/5

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