Lady Bird

Al suo esordio da regista, l’attrice-icona-del-cinema-indie Greta Gerwig ha composto un ritratto commuovente e spietato sulla vita di una 18enne di Sacramento che non vede l’ora di andarsene a vivere a New York. Con protagonista una bravissima Saoirse Ronan, il film è candidato a 5 premi Oscar

Se (quasi) tutti i film sull’adolescenza hanno un loro fascino, Lady Bird è un capolavoro. La frase suona categorica e forse troppo enfatica, ma nel suo piccolo l’esordio alla regia dell’attrice-icona-del-cinema-indie Greta Gerwig è davvero un’opera sorprendente per quanto tutti i tasselli siano cesellati alla perfezione. Dalla scrittura di precisione chirurgica nel restituire la delicatezza e brutalità del rapporto genitori-figli o la sbronza-illusione dei primi amori, alla recitazione misurata e incisiva di Saoirse Ronan (candidata agli Oscar), ogni elemento è al posto giusto e la storia scorre fluida senza scene madri ma lavorando sull’accumulo di microemozioni. Col risultato di andarti sottopelle, di rimanerti attaccata addosso nella sua dolce malinconia.

L’adolescenza è spesso descritta come l’età dell’assoluto dove non esistono mezze misure, dove è tutto o niente, dove gli amori e le amicizie sono totalizzanti e i tradimenti per sempre. Lady Bird questo lo racconta molto bene ma se c’è un lato di questa fase delle vita che il film fotografa come pochi altri è la ricerca di una propria identità. Quando si è teenager, tutto fa schifo: fa schifo il proprio volto, fa schifo il proprio corpo, fanno schifo i propri genitori, fa schifo la propria casa, fa schifo la propria città, fanno schifo gli amici, fa schifo perfino il proprio nome. Insomma, si vorrebbe essere, sempre e comunque, qualcun altro. La 18enne protagonista del film esaspera questa insoddisfazione cronica di se stessa e Greta Gerwig, con sottile maestria, sottolinea questo stato d’animo puntellando la storia di episodi apparentemente banali e invece estremamente simbolici. Ecco allora la protagonista Christine McPherson ribattezzarsi “Lady Bird”, inventarsi di abitare nella grande villa blu con la bandiera appesa fuori, nascondere il proprio padre facendosi lasciare un paio di isolati prima della scuola, rinnegare la migliore amica quando si trova una compagna più cool sperando in qualche modo di splendere del suo riflesso. Il sogno – necessario e doloroso – di indossare altre vite, di abitare altre case è in realtà qualcosa che trascende l’adolescenza e che Lady Bird condivide con la madre, e così le vediamo cercare abiti in negozi di seconda mano e soprattutto andare a visitare abitazioni in vendita con il solo scopo di illudersi per un attimo di sedersi in quelle cucine spaziose e luminose.

In questo teen-movie che gioca e ribalta gli stereotipi del genere dissacrandone i “momenti magici” come la recita scolastica – ovviamente di Shakespeare – che dovrebbe far prendere consapevolezza di sé, il ballo di fine anno come serata indimenticabile o la tanto attesa e idealizzata “prima volta”, l’aspetto più forte e riuscito è il rapporto tra Lady Bird e sua madre. In pochi altri film abbiamo visto un legame così spietato e commuovente al tempo stesso. La madre di Lady Bird (un’immensa Laurie Metcalf) è una donna ruvida e pragmatica, indurita dalla vita con alle spalle genitori alcolizzati, estremamente generosa sul lavoro quanto severa in casa; e Lady Bird, con lei, è stronza, ingrata ed egoista come una normalissima 18enne è. Tra le due sono litigi feroci e accuse velenose, con una che vomita addosso all’altra le proprie frustrazioni, ma questa tensione perenne e inevitabile è spezzata da attimi di dolcezza che, nella loro estemporaneità, hanno una carica di umanità e di tenerezza devastante. E così quando Lady Bird scopre le lettere stropicciate di scuse che sua madre non è riuscita a scriverle vi sfido a trattenere i fiumi di lacrime.

Nella sua semplicità, nella sua delicatezza, con quella regia limpida che ha il solo scopo di far risplendere personaggi e dialoghi, Lady Bird è riuscito a restituire la rabbia e le illusioni dell’adolescenza. Esaltandone le contraddizioni, perché se da un alto il desiderio di andarsene per sempre è assoluto e divorante, dall’alto, una volta arrivati nella tanto sognata New York, soli nella metropoli, la prima cosa che Lady Bird fa è trovare un pezzo di casa…

Nota finale: la scena in cui Lady Bird va al baracchino a casa per comprarsi un pacchetto di Camel Light, un gratta e vinci e una copia di Play Girl perché “oggi ho compiuto 18 anni e posso comprarmi queste cose” vale da sola il prezzo del biglietto.

Mi piace: La delicatezza unica con cui è raccontata l’adolescenza, ma soprattutto la fotografia del rapporto spietato e commuovente tra madre e figlia. E poi la scrittura di precisione chirurgica e l’interpretazioni perfetta di Saoirse Ronan.

Non mi piace: Una regia che è più che altro al servizio della storia senza trovate visive.

Consigliato a chi: A chi ama il cinema indipendente e i film su quell’età bellissima e bastarda che è l’adolescenza. 

Voto: 4/5

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