Le nevi del Kilimangiaro: la recensione di Valentina Torlaschi

Operai, lotte sindacali, coscienza di classe. Quelle che potrebbero sembrare parole anacronistiche per il cinema (e forse per il mondo) di oggi riescono invece, nel film di Guédiguian, a emozionare. E soprattutto a insinuare nello spettatore una riflessione sfaccettata sull’attuale “società del benessere” in cui la guerra tra poveri fa dimenticare la solidarietà insita e necessaria all’umanità stessa (concetto ripreso dal poema Les pauvres gens di Victor Hugo a cui la pellicola è ispirata).
Per un eccesso di etica professionale, il rappresentante sindacale Michel si ritrova senza lavoro. A causa di una ristrutturazione, la sua azienda deve licenziare 20 persone: gli operai decidono di estrarre a sorte i disoccupandi e Michel mette il suo nome. Naturalmente viene estratto. Ma l’uomo, grazie soprattutto all’amore (e alla sicurezza economica) della famiglia, reagisce con determinazione e voglia di vivere; peccato che questo precario equilibrio venga fatto saltare in aria quando due ladri irrompono nella sua casa derubandolo e picchiando lui, la moglie e i due cognati. Lo shock è ancora più forte quando si scopre che uno dei due ladri era un “compagno” di fabbrica… Da lì si scatena un’incessante e logorante ricerca della giustizia che porterà di volta in volta a rimettere in discussione i ruoli di vittime e carnefici, innocenti e colpevoli. Guédiguian, e questo è l’aspetto più interessante di una pellicola che s’inserisce nei sentieri del cinema civile, vuole fotografare la fine della coscienza e della solidarietà di classe: non c’è uno sguardo nostalgico, piuttosto la consapevolezza che i giovani, gli indignati di oggi, non si possano ritrovare nei valori di un proletariato ormai imborghesito e che si lava la coscienza a colpi di inefficaci rivendicazioni sindacali.
Un film tosto, malinconico, ma in cui comunque traspare un’inesorabile voglia di vivere. Diverse sono le scene ironiche che stemperano il dramma, ma soprattutto l’ambientazione in una Marsiglia assolata, luminosa e sanguigna (filmata con una Super 16) illumina fin da subito la possibilità di un futuro migliore. Così, se il finale regala, come del resto faceva Hugo, una speranza, è anche vero che questo happy end è, oltre che poco credibile, forse troppo rassicurante e consolatorio. Tutti siamo assolti e vince la morale dei buoni sentimenti.

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Mi piace
La fotografia per nulla nostalgica della fine della coscienza e della solidarietà di classe. L’ambientazione in una Marsiglia assolata, luminosa e sanguigna. E le impeccabile prove dei due protagonisti Ariane Ascaride e Jean-Pierre Darroussin.

Non mi piace
Il finale troppo rassicurante e consolatorio.

Consigliato a chi
A chi vuol farsi sorprendere da un film impegnato e solare al tempo stesso

Voto
3/5

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