Lei: la recensione di Marita Toniolo

Belleletterescritteamano.com. È il sito per cui lavora Theodore (Joaquin Phoenix), uomo divorziato che scrive lettere personali molto toccanti per conto di altri. È bravo nel suo lavoro e riesce sempre a commuovere i destinatari. Un contrasto voluto dal brillante Spike Jonze con la situazione interiore di uomo solo che non riesce a conoscere altre donne dopo la separazione burrascosa dalla moglie (Rooney Mara). Eppure, non sarebbe così difficile rifarsi una vita. Los Angeles là fuori (in realtà i grattacieli sono quelli di Shangai) è immensa e piena di single. Ma Theo non è pronto e si rintana.
Unico sollievo a una mestizia sconfinata, costruita ad arte – gesto su gesto, sguardo su sguardo – da un immenso Phoenix e con una pioggia preziosa di dettagli dal regista, arriva Lei. Lei è Samantha, voce roca e calda da attrice old fashion (Scarlett Johansson nella versione originale, Micaela Ramazzotti in quella italiana), intelligenza vivida e brillante, spiccato senso dell’umorismo e un’accondiscendenza seduttiva che nasconde anche una certa malizia. Tutto perfetto all’apparenza, peccato le manchino un corpo e una volontà, perché Samantha altri non è che un OS1, un sistema operativo che – almeno apparentemente – dovrebbe solo leggere la posta, riordinare il computer e limitarsi a fare quel che le si dice.  E invece si evolve e diventa sempre più intelligente, ed emotiva, e curiosa dell’esperienza umana…
Il futuro messo in scena da Jonze è vicinissimo, qui dietro l’angolo: potrebbe volerci giusto un decennio o poco più per raggiungerlo. Jonze piega i generi – la fantascienza e il melò – non tanto (o non solo) per riflettere come Kubrick a suo tempo sull’evoluzione e la perdita di controllo dell’uomo sulle sue invenzioni e sulla capacità delle “macchine” di provare emozioni, ma per rispondere a domande esistenziali di rilievo: cos’è l’amore? Come rinascere quando finisce? Dove trovare qualcuno che ci capisca veramente? E quindi, in quest’ordito che sconfina spesso nella riflessione filosofica, la tecnologia non è ostracizzata da come mostro pronto a sfuggirci dalle mani, ma diventa lo specchio che mette in luce le nostre lacune relazionali. Come a dire, che non siamo soli perché troppo hi-tech, ma che lo siamo diventati perché sempre più asettici e spaventati dal contatto con l’altro.
Ridotto alla sua essenza, Lei (in originale Her), è il racconto del “lutto” di un amore e della sua successiva elaborazione attraverso situazioni ironiche e grottesche che spesso sconfinano nel tragicomico (la scena del pic-nic “a quattro” è paradossale), attraverso cui Jonze si consacra a esploratore dei sentimenti contemporanei e delle loro sempre più tortuose complicazioni, arrivando a dire – per bocca di Amy Adams, l’amica hypster di Theo – «L’amore è una follia socialmente accettabile». Un po’ l’anti-Gravity: un film di affetti e non di effetti speciali (anche per la raffinatezza del concept e della fotografia), perché il progresso potrà anche portarci a fluttuare tra le stelle o farci costruire la versione femminile e sexy di Hal 9000, ma alla fin fine dovremo sempre confrontarci con quel monolite che è il nostro cuore.

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Mi piace
La regia di Spike Jonze delicata e sensibile, la fotografia raffinata e la grande performance di Joaquin Phoenix.

Non mi piace
La seconda parte a tratti si dilunga un po’ troppo.

Consigliato a chi
Cerca un film che faccia riflettere, più attuale di quanto si possa pensare.

Voto: 4/5

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