Lorax – Il guardiano della foresta: la recensione di Gabriele Ferrari

In un mondo come quello dell’animazione, spacciato come appannaggio dei bambini ma in realtà comandato dagli adulti, in cui sono gli Shrek e i Megamind a dominare i botteghini a suon di citazioni, rotture della quarta parete e altri giochini cinefili, ci vuol poco a farsi scaldare il cuore da un film imperfetto ma genuino come Lorax. Prodotto dalla Illumination Entertainment che già ci regalò il delizioso Cattivissimo me, tratto da una storia del Dr. Seuss – per intenderci, quello di Il Grinch e Ortone e il mondo dei Chi –, strutturato come un musical Disney vecchio stile, Lorax è quello che troppi cartoon digitali si sono rifiutati di essere in questi anni: una favola per bambini.

Lorax si apre nel presente, a Thneedville, dove tutto è fatto di plastica e l’uomo più potente della città è un imprenditore che si è arricchito vendendo aria respirabile ai suoi cittadini. È qui che vive Ted, giovane protagonista della fiaba, innamorato della rossa Audrey e fermamente deciso a regalarle il seme di un vero albero come pegno d’amore. Ed è fuori di qui che Ted fugge in cerca dell’ambito premio: al di là delle mura c’è una distesa di rifiuti e putredine, dove solitaria spicca la catapecchia di Once-ler, misterioso personaggio nonché unico a sapere dove trovare il seme. “Once” come in “once upon a time”, “c’era una volta”: e infatti è nel passato che sta il cuore della vicenda, narrata da Once-ler a Ted per gran parte del secondo atto del film. Un passato in cui le terre intorno a Thneedville erano ancora verdeggianti e al posto delle case sorgeva una foresta di “truffoli” (non chiedete); sulla foresta vigilava il Lorax, bizzarra creatura arancione con baffoni i cui avvertimenti («Non tagliate gli alberi! Rispettate la natura!») cadono nel vuoto di fronte all’avidità di un singolo uomo – la cui identità non sveleremo per amor di sorpresa, ma i cui gesti condannano Thneedville a diventare l’incubo post-industriale su cui si apre il film.

L’intrecciarsi delle due storie, nonché la sparizione del teorico protagonista per circa metà film, è forse l’unico ostacolo che l’ipotetico bambino di sette anni a cui è rivolto Lorax potrebbe incontrare. Siamo di fronte a una favola francamente ecologista, come gran parte delle opere di Seuss, con una morale lineare ed evidente (“naturale” è meglio di “artificiale”), raccontata con scene colorate ai limiti della psichedelia, canzoni coreografate come in una versione al caramello di Moulin Rouge! e gag slapstick capaci di strappare un sorriso anche al più cinico. Certo, per un film che si chiama Lorax la presenza su schermo della creatura del titolo è meno importante, in termini di minutaggio, di quanto ci si potrebbe aspettare, e il ritmo della narrazione non sfugge a un paio di cadute di tono. Ma l’immaginario è vivido e colorato, la scrittura semplice senza scadere nel semplicistico, ammiccamenti e strizzate d’occhio agli adulti che pagano il biglietto quasi totalmente assenti. È quello che si chiede, che si dovrebbe chiedere, a un film per bambini.

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Mi piace
Esteticamente è un trionfo. Alcune canzoni e coreografie sono da applausi.

Non mi piace
Curiosa la scelta di presentare il protagonista Ted per poi farlo sparire per quasi metà film, come anche quella di limitare il ruolo del Lorax all’interno della vicenda.

Consigliato a chi
Ai genitori dall’animo green che vogliono introdurre i figli all’ecologismo e all’amore per la natura.

Voto: 3/5

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