Manchester By the Sea: la recensione di Mauro Lanari

Dalla “Flatlandia” postmoderna col suo abnorme tasso di superficialità, ecco sorger’il nuovo filone Kübler-Rossiano per adulti: non un’ardita riflessione sulla morte come problema universale, cosmico, metafisico, ma un modello fenomenologico di sopravvivenza e strategia gestionale della famiglia residua. Il vedovo di “Captain Fantastic” (2016) e del mucciniano “Padri e figlie” (2015) sono persino troppo recenti: prima c’è “Alabama Monroe” del 2012 e forse, all’origine, il morettiano “La stanza del figlio” (2001). Su IMDb qualcuno l’ha rititolato “Manchester by the ZZZ”. Casey Affleck ripropon’il suo pony da battaglia del depresso cronico, qui affetto e afflitto da un disturbo post-traumatico da stress, e Kenneth Lonergan intoppa nella sindrome da eccessiva prolificità autoriale: 3 film in 16 anni. Si desse pure una calmata. Grazie.

© RIPRODUZIONE RISERVATA