Nella tana dei lupi: la recensione di loland10

“Nella tana dei lupi” (Den of Thieves, 2018) è il primo lungometraggio del regista-sceneggiatore-produttore di Los Angeles, Christian Gudegast.
Prodotto di genere, godibile con colpi di scena e irriverenze assortite.
Personaggi divisi, poliziotti e banda, linguaggio caricato, rughe e sudore, corpi tatuati e fin troppe pallottole. Ambienti ruvidi, fotografia sporca e facce stereotipate: per centoventi minuti (la versione originale è di centoquaranta, tagli ad hoc o questioni di spazi al cinema, chi sa…) non ci si addormenta affatto. Tutto caricato, niente è lasciato al caso, la ‘sana’ violenza non manca, l’ansiogeno è metallico e il debordare del fragore è in prima fila.
In ogni caso da tutto ciò bisogna togliere la superficie e molto di crosta esterna perché la pellicola una buona storia (certo ripresa e rifatta, vista e rigirata) con movimenti e riprese non banali fino ad avere alcune sequenze ben girate e di buona costruzione.
Nick O’Brien (Gerard Butler), uomo solo, testardo è capo di una squadra anticrimine a Los Angeles: dalla uccisione di poliziotti per l’assalto ad un furgone blindato, si indaga su alcuni personaggi, un gestore di un bar, i clienti, il movimento presunto per ‘fare la rapina’ cinquantaquattresima giusta alla ‘Fedral Reserve Bank. Le altre tutte a vuoto. La Banca delle Banche ha ostacoli che sembrano impossibili scansare. Denaro sporco, denaro contante, denaro schedato e denaro scaduto (non subito). Tra pass e scarichi, foto e cibo, sacchetti e furgoni, la spazzatura in sacchetti può essere utile. Sembra tutto tranquillo…
Film ‘medio’che racchiude accenni e rimando di altro cinema. Opera prima da non sottovalutare dove la forza, l’eccesso, i rumori, il linguaggio e il tono muscolare paiono degli escamotage per ‘timbrare’ la narrazione. I segni tatuati sui corpi sono altri luoghi (comuni) delle persone: fidate, lontane e sicuramente poco sincere come false, agguerrite e solamente amorali.
Cosa fare per rapinare la banca delle banche Los Angeles. Nessuno vi è mai riuscito . Dopo 53 volte andate a vuoto e malissimo, la cinquantaquattresima è la prove del nove. Tutto preparato meticolosamente con coraggio, faccia tosta e rifiuti. Ecco quello che di solito non immagini (mai) succede. L’ultimo ruota del carro che fa l’autista e non sa nulla di nulla e quindi non può sputare quello che non sa, riesce a portare a domicilio del cibo a alcune donne del personale. Un telefono, un contatto, due buste. Chi sa perché una viene nascosta. Altro cibo, armi, vestiti…o chi sa cosa. Meglio non dire nulla anche se il cibo caldo va mangiato subito…non certamente dopo …un giorno e più. E perché poi girare con indumenti rossi da servizio? Ti aspettano, si affiancano, saranno dolori per te o per gli altri? E non bastano le manette per bloccare una persona. Donnie Wilson (O’Shea Jackson Jr. ) sa cosa fare…vero Nick…
Personaggi doppi, duri, da una parte all’altra; e la legge o meglio il suo ‘iceberg tamarro’….da il suo meglio: ‘ti sembra che qui arrestiamo…noi ammazziamo’ (oppure). Non si va molto sul sottile con muscoli scolpiti, pallottole a iosa, fumo veloce e alt che qui ci sono io. Ecco in questo (tipo di) film (e altri da cui si riflette) l’ego è partecipativo, integrante e importante. Il resto passa tutto in secondo piano. La rapina alla Banca inviolabile come ultima (ultima?) frontiera della (il)legalità per un gruppo di giocatori che costruiscono l’antefatto con il non visto per il pubblico (conoscenze, incontri, bevute, sguardi e altro). E’ ovvio che il rimpallo tra ‘poliziotti’ e ‘ladri’ è linearmente asimmetrico per chi guarda: sai troppo e non sai nulla. Il finale adombra qualche dubbio (dubbio?) su un seguito… (e infatti si legge che c’è la prospettiva di un secondo capitolo….per una rapina altra…o altra…).
Film western urbano e thriller da avamposto bancario: si leggono evidenti ammiccamenti: ‘Heat. La Sfida’ (1995) di Michael Mann (nella struttura generale e si veda la parte iniziale); poi ‘Il braccio violento della legge’ (1971) di William Friedkin (vedi il movimento auto e la guerriglia); infine ‘Quel pomeriggio di un giorno da cani’ (1976) di Sidney Lumet (solo una sensazione personale appena entrano nella banca…laterale). Ma è “Il colpo” (2001) di David Mamet (Gene Hackman e Danny DeVito) che regala la sorpresa all’ultimo fotogramma. Ecco ‘Nella tana dei lupi’ il troppo ‘bordeggiare’ delle pistole fa perdere il gusto dei colpi di scena (che ci sono) e (forse) zittiscono troppo l’idea di fondo di un film non ‘proprio convenzionale’.
Cast muscoloso e tatuato con Gerard Butler (Nick)che sa il fatto suo e non si scompone di nulla in mezzo al caos di fumo; O’Shea Jackson Ir. (Donnie) e 50Cent (Levi) che seguono la corsa con impeto di vittoria.
Regia con un marchio crudo e polveri che si alzano ad ogni cambio di ambienti: movimentata e asimmetrica.
Voto: 7–/10 (***).

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