Noi siamo infinito: la recensione di Silvia Urban

Diffidate da chi vi dirà che Noi siamo infinito è il classico film adolescenziale. Perché è vero che esplora l’adolescenza, ma di classico ha ben poco.
Qui il protagonista è Charlie, ragazzo intelligente ma timido e insicuro, vittima di un forte trauma dovuto alla perdita del suo migliore amico, suicida, e ancora tormentato dalla morte – avvenuta molti anni prima – di una cara zia. Da sempre vive la sua vita in disparte, solo in compagnia dei suoi libri – da grande sogna di fare lo scrittore – e di un amico senza nome a cui indirizza il racconto della sua esistenza tramite lettere. Lo seguiamo per tutto il suo primo anno di liceo, testimoni delle sue paure, della solitudine in cui i bulli della scuola – ma anche la sorella maggiore che si rifiuta di mangiare con lui – lo confinano, dell’urgenza di trovare finalmente degli amici. Che si materializzano in Sam e Patrick, due ragazzi dell’ultimo anno, fratellastri, che accolgono Charlie nel loro gruppo ancor prima di conoscerlo fino in fondo, intuendo il suo bisogno di relazione. Grazie a loro e con loro si confronta con il primo amore (per Sam), il primo bacio, le prime feste e impara a mettersi in gioco. Un equilibrio e una felicità destinati a vacillare quando i suoi compagni d’avventura partono per il college.

Forse non ci sarà nulla di rivoluzionario, ma la bellezza di questa opera prima sta nella sua autenticità e nella sincerità con cui fotografa le fragilità dell’adolescenza, favorendo l’immedesimazione dello spettatore, che non farà fatica a ritrovare parte di sé sullo schermo e a riconoscersi nelle paure, nell’inesperienza sentimentale, nell’ossessiva ricerca di una propria personalità e nelle emozioni tipiche di quel periodo della vita. Del resto, il progetto nasce dall’omonimo bestseller di Stephen Chbosky – non una vera e propria autobiografia, ma un racconto “mascherato” di sé – che l’autore ha accettato di adattare per il cinema, solo a distanza di parecchi anni dalla pubblicazione. La sua regia è chiara, sicura, seppur priva di virtuosismi o soluzioni originali con una predilezione per il girato più duro a scapito di quello romantico, così da tenersi a debita distanza da facili sentimentalismi. E lasciar filtrare il dolore che ha segnato la vita di quei «giocattoli abbandonati», come li definisce la stessa Sam, ma nel frattempo ne ha forgiato i caratteri. Per motivi diversi la loro anima e il loro corpo sono stati violati e in modi e tempi altrettanto diversi hanno saputo reagire e ricucire la lacerazione. Se Patrick compensa la forzata repressione della propria omosessualità con una simpatia dirompente e negli anni ha sviluppato uno scudo protettivo nei confronti dei giudizi altrui, la sorellastra Sam ha imparato la lezione dal suo passato disinibito e “stupefacente” e ora, pur mantenendo il vizio di relazioni con uomini più grandi, preferisce i milkshake ai cocktail e il bene sincero al piacere. Sarà lei ad insegnare a Charlie che «noi accettiamo l’amore che crediamo di meritare», a baciare le sue labbra per la prima volta, a sostenere il suo talento e a incoraggiarlo nella scelta di inseguire la carriera di scrittore.

E se già sulla carta è evidente l’appeal dei personaggi, sullo schermo il loro fascino viene amplificato dalla bravura degli interpreti, con un Logan Lerman perfetto nei panni del protagonista, di cui incarna con efficacia la purezza e la goffaggine, le paure e l’ingenuità, l’intelligenza e l’autoironia, a testimonianza del fatto che l’attore dovrebbe dimenticarsi per sempre di Percy Jackson e dedicarsi a ruoli di questo calibro. Performance impeccabile, la sua, a cui si aggiungono quelle altrettanto convincenti e funzionali di Emma Watson – alla sua prima grande occasione dopo Harry Potter, finalmente libera di potersi esprimere e mettersi in gioco con energia e sensualità – e quella di Ezra Miller – che forse qualcuno ricorderà nel drammatico e violento … E ora parliamo di Kevin, e qui alle prese con un ruolo completamente diverso, a conferma della sua versatilità –.

A fronte di interpretazioni riuscite e forti messaggi educativi, rivolti ai più giovani ma anche ai genitori (per una volta le figure adulte non vengono demolite, ma al contrario si valorizza l’importanza della famiglia e del dialogo genitori-figli), molta attenzione viene riservata al look vintage che permea l’intera pellicola (siamo nel 1991) e alla colonna sonora che accompagna le esperienze più significative di Charlie, Patrick e Sam. Così al ballo della scuola ci si scatena sulle note di “Come On Eileen” dei Dexy’s Midnight Runners, si ascolta in loop “Asleep” degli Smiths e “Heroes” di David Bowie accompagna la folle corsa in macchina sotto il tunnel Fort Pitt di Pittsburgh e quella dolce e piacevole sensazione di essere infinito.

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Mi piace
Il perfetto equilibrio tra forma e contenuto, laddove i messaggi vengono veicolati attraverso un look interessante, una colonna sonora potente e l’ottima prova degli interpreti

Non mi piace
La regia è decisa, ma piatta

Consigliato a chi
Ai nostalgici degli anni ’90, a chi cerca un ritratto insolito dell’adolescenza sul grande schermo e a chi vuole avere una prova che Emma Watson sa cavarsela molto bene anche smessi i panni di Hermione.

Voto
4/5

 

 

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