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Non aprite quella porta 3D: la recensione di Gabriele Ferrari

È vox populi, negli ultimi dieci anni, almeno che l’horror sia morto, che sia un modo di fare cinema che non ha nulla da dire, che escano solo pellicole brutte e che il periodo d’oro a cavallo tra anni Settanta e Ottanta sia ormai un’utopia irraggiungibile. È tutto vero e tutto falso insieme: tra i generi puri nessuno, neppure la fantascienza, sta meglio del “film di paura”, per incassi e numero di pellicole prodotte, né la qualità media è poi calata troppo nei 00’s – anche i mitici Ottanta hanno avuto la loro buona dose di schifezze, e a conti fatti è soprattutto la nostalgia a farci rimpiangere gli anni di Nightmare e Hellraiser. Ed è proprio la nostalgia che ci permette di ribaltare il discorso: se un tempo gli azzardi erano all’ordine del giorno, e la voglia di raccontare storie nuove il motore di un genere in fermento, oggi a mancare è la carica rivoluzionaria, l’intuizione, la novità. «Escono solo remake e sequel» è un’altra frase di saggezza popolare un tanto al chilo, ma nella sua banalità spiega perché, per esempio, un film come il qui recensito Non aprite quella porta 3D lascia nello spettatore soprattutto il rimpianto per un tempo in cui massacri e motoseghe erano una novità eccitante.

Tutto questo preambolo per dare un qualche abbrivio a un pezzo che altrimenti si risolverebbe in poche righe; in totale spregio alla storia franchise (una storia fatta soprattutto di sequel e reboot), il John Luessenhop di Takers decide infatti di rispondere a domande che nessuno, finora, si era posto: cosa è accaduto dopo il massacro del primo film? Chi è davvero Leatherface? Leatherface ha dei parenti, degli amici, qualcuno che gli stia vicino nonostante tutto? La strada è quella già intrapresa con scarso successo da Rob Zombie nei suoi Halloween: in ossequio a una non richiesta maturità e modernità di temi, si prova a farci provare empatia per il killer senza volto, raccontando la vicenda di Heather (Alexandra Daddario), cugina di Leatherface senza saperlo, trasferitasi in Texas insieme agli amici per dare un’occhiata alla magione lasciatale in eredità dalla nonna. Ovviamente la casa è “quella casa”, ovviamente la porta viene aperta, ovviamente le uccisioni ricominciano. A renderle più interessanti, almeno su carta, è la scoperta che Leatherface non è veramente cattivo, solo incompreso, vittima delle angherie post-massacro degli abitanti del villaggio. Quello che poteva essere un semplice slasher senza pretese diventa così una presunta esplorazione dell’ambiguità del male, che invece di interessare finisce con lo sminuire il portato orrorifico del killer e annullare ogni parvenza di atmosfera.

Non aiuta che Luessenhop rovini tutti gli orpelli che rendono grande un horror: i personaggi sono macchiette insopportabili – Heather esclusa: ma lei si salva soprattutto perché di una bellezza stordente –, tensione e claustrofobia sono assenti ingiustificati, solo il lato gore viene amplificato rispetto all’originale, e chi apprezza un po’ di sana ultraviolenza a base di motosega uscirà soddisfatto dalla sala. È un po’ poco: in Non aprite quella porta 3D ci sono tutti gli ingredienti per un odierno incasso D.O.C., a mancare è tutto il resto, quello che rendeva davvero grandi le comunque imperfette pellicole degli anni d’oro. Vedete voi se accontentarvi.

PS: una riflessione che si può fare e che dà l’idea di quanto poco questo sequel sia stato ragionato in termini di rispetto del franchise è sui tempi. L’originale si svolgeva nel 1973, mentre questo sequel ci presenta una protagonista poco più che ventenne, sopravvissuta agli eventi del primo film. Dovremmo essere circa a metà degli anni Novanta, dunque, eppure una delle scene migliori del film, una delle poche davvero gravide di tensione, prevede l’intervento di un poliziotto armato di iPhone.

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
Alexandra Daddario è una scream queen credibile. Alcune scene di violenza sono gradevoli.

Non mi piace
Il tentativo di donare profondità e umanità a Leatherface rovina l’atmosfera del film. E c’è un grande assente: la paura.

Consigliato a chi
Ha voglia di uno slasher senza troppe pretese, e non ha problemi a vedere un canone stravolto per l’ennesima volta.

Voto: 2/5

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