Non lasciarmi: la recensione di Paolo Sinopoli

Il 1997 è stato l’anno della pecora Dolly, nel 2000 è stato mappato il genoma umano, nel 2008 il cordone ombelicale di un bimbo è stato impiegato per un trapianto di midollo osseo al fratellino affetto da beta-talassemia e il 18 marzo 2011 in Spagna è nato il primo “bambino Ogm” che, privato del gene malato che per generazioni i suoi famigliari si sono continuati a trasmettere, non si ammalerà di cancro. Sulla scia di questi avvenimenti reali s’inserisce Non lasciarmi, film drammatico diretto con delicatezza da Mark Romanek e basato sull’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro (Quel che resta del giorno).
La svolta nella scienza medica inizia nel 1952 e nel 1967 le aspettative di vita raggiungono i 100 anni. 1978: Kathy, Tommy e Ruth sono tre bambini che crescono nel collegio di Hailsham, nati con un destino stabilito ancor prima che venissero alla luce: donare i propri organi e morire prima di aver raggiunto la mezz’età. I tre sono, infatti, dei cloni, come tutti i bambini che vivono ad Hailsham, tra controlli medici periodici e braccialetti elettronici per evitare fughe improvvise. Il tempo passa e Kathy (Carey Mulligan), Tommy (Andrew Garfield) e Ruth (Keira Knightley), ormai adolescenti, trascorrono gli ultimi anni della propria vita in un cottage, nell’attesa di iniziare il “ciclo delle donazioni”, quando cioè gli organi verranno espiantati dal loro corpo. La fase finale prende il nome di “completamento”, ennesima definizione politically correct che in realtà ne indica la morte. Nessuno si ribella, nessuno punta i piedi, nessuno combatte contro un sistema in cui il fine giustifica qualunque mezzo. Il tutto in nome del “santo” progresso, giustificazione con cui l’egoismo dell’uomo schiaccia la vita di altre persone pur di guadagnare qualche anno in più di vita.
Il film, quindi, pone lo spettatore di fronte a domande etiche da cui non può fuggire e di estrema attualità. Come quando si fa capire che il collegio di Hailsham verrà rimpiazzato da strutture che crescono bambini come batterie di allevamento, idea che non può che portare alla mente i lager nazisti.
Ad impreziosire la pellicola, invece, i protagonisti Carey Mulligan, Andrew Garfield e Keira Knightley, che danno prova del loro talento recitando un’amicizia complessa e ricca di sfumature.

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Mi piace
Commovente il desiderio di Keira Knightley di trovare la donna da cui è stata clonata, alla ricerca di una persona a cui aggrapparsi per trovare un senso alla propria vita. Il giudizio finale sui fatti non è imposto, ma è lasciato allo spettatore.

Non mi piace
Non viene presentato un contesto sociale e politico attorno ai personaggi: non veniamo a conoscenza delle opinioni di politici, giornalisti o educatori di quegli anni. Tutto sembra immobile in una quieta e vigliacca accettazione.

Consigliato a chi:
A chi si pone domande sull’etica del progresso ed è incerto su dove porre i confini tra la scienza e la violazione della vita umana.

Voto: 3/5

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