Omicidio all’italiana

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A far ridere Maccio Capatonda ci è sempre riuscito, sin dai tempi dello Zoo di 105 in radio o dei finti trailer di Speciale cinema alla corte della Gialappa’s Band. Quello che ancora mancava, almeno da quando ha fatto il salto su grande schermo, era trovare la giusta coesione tra i suoi tempi comici e la satira sociale della sua storia. Italiano medio divertiva, parodizzando e criticando usi e costumi della nostra società, ma soffriva di ritmi spezzati, ancora troppo fedeli agli sketch, televisivi e web, della Maccio Squad. Omicidio all’italiana, invece, corregge il tiro limando i difetti dell’esordio e il risultato è un film che alla risata aggiunge importanti spunti di riflessione.

La commedia ha anzitutto una struttura più organica, che dona una buona solidità dall’inizio alla fine. La sensazione di essere solo davanti a un collage di siparietti e personaggi che hanno definito l’universo di Maccio sparisce, per lasciare il posto a un’opera dal respiro più ampio, che gioca, abilmente, con codici di più generi. L’umorismo, che a tratti ricorda quello della commedia demenziale americana anni ’80 (vedi gli Zucker-Abrahams-Zucker di turno), è la base di tutto, ma Omicidio all’italiana sfrutta elementi stilistici del giallo, del thriller, del drammatico, per distorcerli con l’esagerazione della parodia.

Capatonda resta sempre fedele al suo infinito ecosistema di caricature affidando il ruolo di protagonisti a Piero e Marino Peluria, due fratelli diventati rispettivamente sindaco e vicesindaco di Acitrullo, un paesino sperduto nell’entroterra abruzzese. Cercano in ogni modo di far uscire il loro territorio dall’anonimato, provando ad aggrapparsi anche all’introduzione di internet per tutti (peccato che usino un modem 56K…), ma ogni tentativo fallisce. Quando però la Contessa, stufa finanziatrice di ogni loro improbabile iniziativa, muore, ecco il colpo di genio: inscenare un omicidio per far piombare su Acitrullo le luci dei media e la popolarità tanto desiderata.

Da qui in poi, del film colpiscono, oltre alle gag esilaranti, soprattutto i sottotesti, dotati di una profondità inaspettata. Centrale è il fenomeno della spettacolarizzazione della morte da parte dei media, incarnato dalla trasmissione “Chi l’acciso?”, simbolo della morte che fa audience e di come quella scatola nera che è la televisione sia in grado di manipolare realtà e menti dei telespettatori. In questo senso, è Sabrina Ferilli, l’avvenente conduttrice del programma, il vero burattinaio: il suo personaggio studia a tavolino ogni mossa per far crescere lo share del suo show, sfruttando la sofferenza altrui senza farsi scrupoli nemmeno di scavalcare le autorità, anche loro in cerca dei classici 15 minuti di celebrità.

È un ritratto di sciacallaggio mediatico sconfortante che si spinge sino all’inquietante turismo nero, lo stesso che ha portato folle di persone sui luoghi di tragedie quali Avetrana, Cogne e Novi Ligure, non a caso citati nel film. Acitrullo si trasforma nello stesso tetro palcoscenico, diventando una meta turistica, oro colato per agenzie viaggi speculatrici. Le vie del paesello abruzzese vengono così invase da una fiumana di gente ansiosa di comprare souvenir e scattarsi selfie dove è stata ritrovata “la morta ammazzata”, dal momento che la smania di condividere e di essere social non ha riguardo per niente e nessuno. Colpa di una tecnologia invasiva, ossessiva e irrispettosa, che ci rende così assuefatti da risultare ai nostri occhi più credibile della realtà stessa.

Parla ancora all’italiano medio, Maccio, ma lo fa attraverso una critica molto più pungente e spietata, che diverte portando con sé anche un certo impatto drammatico. Da tutto questo il sistema ne esce triturato, e del resto è difficile salvare qualcosa in una società in cui i colpevoli spesso sembrano scelti al televoto e le farse oscurano le vere tragedie, come un padre che uccide la sua famiglia e che nessuno nota solo perché sta guardando dall’altra parte.

Mi piace: la magiore organicità rispetto a Italiano medio e il connubio tra risate e critica sociale

Non mi piace: manca ancora uno step per dare la giusta continuità ai tempi comici

Consigliato a chi: cerchi un’opera di Maccio Capatonda che, oltre a far ridere, faccia anche riflettere

Voto: 3/5

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