Piccole donne recensione. La rielaborazione fresca e moderna di un grande classico

Piccole donne recensione
PANORAMICA
Regia (4)
Interpretazioni (4)
Sceneggiatura (4)
Fotografia (4)
Montaggio (4.5)
Colonna sonora (2.5)

Piccole donne, ma grande film. Non era affatto facile affrontare la sfida di riproporre nel 2020 un nuovo adattamento del celebre romanzo di Louisa May Alcott dopo ben quattro trasposizioni precedenti (l’ultima con Winona Ryder/Jo di Gillian Armstrong è del 1994, mentre la prima con una giovanissima Katharine Hepburne risale al 1933), ma Greta Gerwig è riuscita a vincerla.
L’attrice e regista di Sacramento qui fa uno scatto qualitativo enorme rispetto al delicato e acclamato Lady Bird, dimostrando a 36 anni di saper gestire una macchina produttiva importante (per budget, cast, scenografie, costumi… ), ma soprattutto proponendo non un semplice remake ma una rilettura personale e originale delle opere della Alcott.

Prima di tutto “strapazza” la linearità temporale della narrazione impostata dall’autrice, saltando avanti e indietro dal “presente” di Jo scrittrice adulta a sette anni prima, quando ancora adolescente viveva con le sorelle e la madre Marmee a Concord, in Massachussets. E poi si prende la libertà di reinventare il finale, mescolando esigenze di fiction (quelle imposte a Jo dall’editore, che esige un matrimonio per la protagonista) e realtà (la Alcott morì zitella convinta), offrendoci la conclusione che si avvicina di più a quella che la scrittrice stessa avrebbe voluto. Senza demolire l’happy ending romantico, e tuttavia mettendo in primo piano il bisogno di autodeterminazione della donna. 

Jo delle quattro sorelle March è sicuramente la più ribelle alle regole, una femminista ante-litteram che si è opposta alle pressioni sociali del suo tempo (siamo alla fine della Guerra di Seccessione). Ma in realtà ognuna delle sorelle March corrisponde non solo a un diverso tipo di donna, ma anche alle differenti istanze presenti in ogni appartenente al genere femminile: la parte che desidera l’amore e i figli come Meg, quella divisa tra l’ambizione verso una carriera prestigiosa o, in mancanza di essa, di un matrimonio d’interesse come Amy, e quella che non osa lanciarsi nel mondo e per timidezza e paura si rifugia nella sicurezza di casa propria come Beth.

Una delle intuizioni più felici della Gerwig è quella di mostrare l’affetto tra le sorelle March con un dinamismo e una vivacità molto moderni e aderenti al modo d’essere tipico delle adolescenti. Le quattro ragazze parlano una sopra l’altra, interrompendosi in continuazione, e buttandosi una sull’altra su tappeti, divani e letti, quasi a formare un “corpo unico”, che era poi il vero sogno della Alcott: vivere sempre insieme alle sue sorelle, senza che nessuna di esse si sposasse.
La freschezza e la spontaneità giovanili vengono abilmente catturate dalla regista anche nel ballo tra Jo e Laurie, più simile a uno scatenamento rock che a una quadriglia di fine Ottocento, una delle tante scene che dimostra quanto forte sia “il senso del ritmo” della Gerwig.

Se fotografia, scenografia e montaggio (un po’ meno le musiche di Desplat) contribuiscono alla bellezza di questa pellicola, non è da meno un cast che vede in scena alcuni dei migliori attori della fresh Hollywood contemporanea accanto a grandi attrici Premio Oscar come Laura Dern e Meryl Streep.
Saoirse Ronan è una Jo grintosa e fragile allo stesso tempo, che dà voce alla complessità femminile in modo sublime (“Sono così stanca di sentir dire che l’amore è l’unica cosa per cui è fatta una donna, ma mi sento così sola…“), Timothée Chalamet, con quell’aria decadente e malinconica, è ormai imprescindibile in un film sofisticato, ma la vera sorpresa del film è Florence Pugh, che costruisce una Amy carismatica e matura, molto diversa dalla versione frivola e capricciosa a cui siamo abituati. Mentre Emma Watson ed Eliza Scanlen fanno il loro dovere senza particolari guizzi. 

In Piccole donne la tematica femminista si intreccia anche alla riflessione sull’arte, sulla libertà espressiva, sui diritti di pubblicazione, sulle scelte autoriali e sulle critiche, temi su cui ogni artista come Jo, Greta e Louisa (che diventa praticamente impossibile scindere tra loro) hanno dovuto confrontarsi nel corso della loro carriera.
Riflessioni “professionali” che la regista impasta insieme alle svolte sentimentali (Il rifiuto di Jo nei confronti di Laurie e il volgersi di quest’ultimo verso Amy), agli ostacoli pratici (le difficoltà economiche, il padre in guerra) e alle tragedie (la morte di Beth), realizzando un gioiello, che rappresenta una vera e propria consacrazione per lei. 
È così perfetto che meriterebbe un premio, non per rispetto delle quote rosa, ma per il suo essere riuscito a rendere attualissima un’opera di fine Ottocento stranota e stravista. Speriamo che i Signori dell’Academy siano d’accordo. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA