Posti in piedi in paradiso: la recensione di Marita Toniolo

Tema in oggetto: un Paese allo sbando. Svolgimento: Posti in piedi in Paradiso. Ovvero, il film della piena maturità di Carlo Verdone, che maschera da commedia un dramma sociale su tre “miserabili” alle prese con l’Italia nel tunnel di una crisi sempre più nera.

L’attore-regista è sempre a caccia di soggetti attuali e originali e questa volta  – rispetto al precedente Io, loro e Lara – fa davvero centro, mettendo in scena la storia di tre autentici loser, Ulisse Diamanti (un produttore discografico di successo caduto in disgrazia), Fulvio Brignola (Pierfrancesco Favino nei panni di un ex critico ora relegato alle pagine rosa di un giornaletto) e Domenico Segato (Marco Giallini, cialtrone fedifrago rovinato dal vizio del gioco).
Verdone punta in alto e mira, riuscendoci, a ridare lustro alla commedia italiana dei vari Scola e Monicelli attraverso la storia di tre “precari esistenziali” che non riescono a far quadrare il cerchio neppure a livello relazionale, dove sono forse ancor più falliti che a livello professionale. Il primo ha messo incinta giovanissima la moglie (Diane Fleri), che lo accusa del proprio fallimento, il secondo ha tradito la compagna (Nicoletta Romanoff) con la moglie del suo capo (“suicidandosi” a tutti i livelli), mentre il terzo si ritrova con due famiglie a cui passare gli alimenti.

L’idea di vivere insieme, anzi di condividere lo stesso spazio abitativo dividendosi le spese, pur senza conoscersi affatto, è un gran punto di partenza. Detonatore di situazioni molto divertenti, dove l’estro recitativo dei tre corre a briglia sciolta regalandoci gag spassosissime, che raggiungono il loro culmine in un atto criminale che profuma di Soliti ignoti lontano un miglio.
I tre attori danno prova di grande mestiere e Giallini, come sempre, primeggia nei ruoli da cialtrone estremo. I tre rispettivi personaggi, infatti, non potrebbero essere più diversi, ma condividono gli antichi fasti di vite perdute. Ulisse, in particolare, nel suo negozio di vinili, da cui allontana (come il memorabile Jack Black di Altà fedeltà) gli improvvidi avventori in cerca delle compilation da Festivalbar, vive immerso nel nostalgico ricordo di miti passati, evocati da cimeli come il cinturone di pelle di Jim Morrison.

E tuttavia non rincorre la celebrazione dell’amicizia virile che si scatena nelle difficoltà la 24ma commedia di Verdone, come sarebbe facile supporre con un cast così affiatato. Anzi, del rapporto tra i tre enfatizza le spigolature. E non è neppure un film d’amore, a differenza di tante altre sue commedie del passato. Anche su questo fronte il grande comico fa uno scatto di maturità. Persino di fronte a una Ramazzotti che si spoglia e balla sulle note di Ghost Song dei Doors con la stessa sensualità di Kim Basinger in 9 settimane e ½, le reazioni di Ulisse non sono affatto scontate.
Ma non spoileriamo oltre. Aggiungiamo solo a riguardo che ogniqualvolta una scena erotica potrebbe scattare nel film, il comico romano – dando prova di grande intelligenza registica – aggiunge una nota stonata eludendo il pericolo della banalità: come un dito in un occhio, uno strappo alla cervicale o un letto che si rompe.

Posti in piedi in paradiso è riflessione seria en travesti, in cui le cui situazioni, per quanto divertentissime e sopra le righe, sono verosimili e tutt’altro che piacevoli. Le conclusioni a cui – dopo una girandola di strappi del destino – arriveranno gradualmente i protagonisti, abbandonando le spinte egoiche e posando finalmente lo sguardo sugli affetti veramente importanti e in particolare sui figli, sono le uniche svolte possibili per una generazione che accetta finalmente di guardare in faccia il proprio fallimento e il proprio irriducibile peterpanismo.
I tre finali (uno per personaggio) davvero spiazzanti, strappano persino la lacrima. Se è vero che il nostro cinema migliore è quello neorealista, Verdone suggerisce che la Crisi per il nostro cinema potrebbe essere un nuovo Dopoguerra. E indica una strada che mescola intelligenza e risata, ma non nasconde mai la testa sotto la sabbia.

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Mi piace: il taglio comico per raccontare tragedie che ci colpiscono ogni giorno di più. Il rapporto, in odore wilderiano, tra Verdone e la Ramazzotti. Il cialtronismo di Giallini.

Non mi piace: certi tempi dilatati che tolgono ritmo al film.

Consigliato a chi: a chi vuole ridere senza staccare il cervello.

VOTO: 4/5

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