Power Rangers

Il reboot di Dean Israelite scorre tra ironia adolescenziale e tanta azione

I giovani protagonisti di Power Rangers

Quando scoprono che la cittadina di Angel Grove e il mondo intero sono sul punto di essere distrutti da una temibile minaccia aliena, cinque normalissimi teenager dovranno unire le loro forze per trasformarsi in qualcosa di straordinariamente potente: i Power Rangers. Prescelti dal Destino, i cinque giovani eroi si renderanno ben presto conto di essere gli unici in grado di salvare le sorti del Pianeta e dovranno far leva sul proprio senso di responsabilità, andando oltre l’immaturità fisiologica della loro età, i rispettivi problemi, le fragilità delle vite di ciascuno.

Il celebre franchise della Saban dedicato a degli adolescenti che si ritrovano a essere supereroi per caso, ritrova sul grande schermo una nuova confezione in grado di metterne in evidenza le tematiche, i fattori in campo, perfino le prerogative visive. Il cast di giovani attori è ben amalgamato e ottimamente assortito, mentre il tono del racconto è incline allo young adult, ovvero ad affrontare temi tipicamente adolescenziali come l’innamoramento, l’amicizia, la perdita e la speranza con il piglio ironico ma al contempo adulto e maturo di un coming-of-age in piena regola, vissuto sullo schermo e non solo suggerito.

Si ha la sensazione di vedere evolvere e maturare i personaggi nel corso della vicenda e questo è senza dubbio un elemento di valore di sicuro interesse, anche per i fan del franchise originale che con esso sono cresciuti. La freschezza delle dinamiche e delle interazioni all’interno del gruppo di teenager al potere, ritrovatisi a gestire una responsabilità incandescente e delle mutazioni fantascientifiche del loro corpo (quale metafora più emblematica dell’adolescenza, in fondo?) in partenza ricordano Chronicle di Josh Trank, uno degli esordi più folgoranti del cinema adolescenziale degli ultimi anni, che pure le declinava con più inventiva e senso della sorpresa e della scoperta.

La sceneggiatura di John Gatins è comunque abilissima nel gestire leggerezza e profondità, amenità e disincanto. Costruisce intorno alla mitologia consolidata e perfettamente riconoscibile degli storici Power Rangers una vena frizzante che riesce a farsi largo con piglio quasi rollercoaster, come ha scritto qualche recensione americana, rendendo il racconto una montagna russa nella quale ai vuoti delle sequenze comiche e delle schermaglie da teenager seguono i pieni offerti da una CGI qualitativamente ottima. Capace anche di sporcarsi di echi cyberpunk e suggestioni alla Guillermo Del Toro, senza per questo svilupparle o renderle primarie.

Sarebbe presto per parlare di un nuovo Guardiani della Galassia per questa nuova avventura dei Power Rangers, popolari in Italia anche grazie alle leggendarie action figures di Giochi Preziosi, ma il buon lavoro del regista Dan Israelite permette a questi adolescenti eroi loro malgrado di “brillare insieme”, di specchiarsi l’uno l’altro e illuminarsi reciprocamente, mettendosi a nudo intorno a un fuoco ma anche in frangenti molto meno rilassati. Come ad esempio il vigoroso combattimento finale, che ha il solo handicap di arrivare troppo tardi e a ridosso del finale, rallentando il ricorso dei ragazzi alle loro sfavillanti e colorate armature.

Quando decide di premere sul pedale dell’acceleratore Power Rangers sa tuttavia il fatto suo, bilanciando irresolutezza generazionale e necessità di sobbarcarsi delle responsabilità perfino superiori alla generazione dei propri padri, assenti o addirittura morti, come nel caso del genitore del Blue Ranger Billy (il personaggio più buffo e peculiare, un inventore di colore a dir poco irresistibile). Questo Breakfast Club riveduto e corretto, che cita il meraviglioso film di John Hughes facendo incontrare i personaggi in un’aula di punizione, ha un occhio ovviamente attento alle minoranze (oltre al nero c’è un accenno all’omosessualità di un personaggio femminile, che è valso al film il divieto ai minori di 18 in Russia), mescola rock ed elettronica, Bryan Cranston (Zordon), ed Elizabeth Banks (Repulsa), Kanye West e minacce sepolte sotto la terra da 65 milioni di anni, cupezza (poca) e vitalità (tantissima).

Mi piace: l’alchimia tra i membri del cast e la capacità di regista e sceneggiatore di costruire qualcosa di frizzante e brillante intorno a una mitologia già consolidate

Non mi piace: l’equilibrio temporale interno al copione, che dilata fin troppo la resa dei conti e il momento della verità

Consigliato a: i fan dei Power Rangers e dei coming of age cinematografici a tutte le latitudini

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