Red Lights: la recensione di Gabriele Ferrari

È dura la vita di un regista che comincia la carriera con il botto: qualsiasi opera successiva, anche la più dignitosa, verrà sempre «paragonata al grande film d’esordio» e perderà inevitabilmente il confronto. Rodrigo Cortés non avrà esattamente esordito con Buried (il suo quinto film), ma è innegabile che il suo nome resterà per sempre legato a una pellicola in cui si permetteva di prendere l’uomo più sexy del mondo e farlo recitare per novanta minuti chiuso in una bara. Ecco perché Red Lights, discreto ma non eccellente nuovo film di Cortés, verrà trattato peggio di quanto meriterebbe.

Non che non se la vada a cercare: in un mondo in cui Nolan ha già girato The Prestige, non è furbissimo scriverne una versione riveduta e corretta in cui gli illusionisti di allora sono sostituiti da quelli di oggi (maghi, ciarlatani, guaritori, medium, guru) e all’ossessione per il successo e l’annientamento del rivale si sostituisce una generica trama a base di «paranormale: realtà o fantasia?». A porsi la domanda sono Margaret/Sigourney Weaver (sempre ottima) e il suo assistente Tom (Cillian Murphy, uno dei migliori attori di questa generazione), accademici che di mestiere smascherano truffatori. Routine, almeno finché non entra in gioco Simon Silver, santone interpretato da un sempre più gigioneggiante – e imbarazzante – Robert de Niro che gioca a fare la caricatura di se stesso. Silver è l’unico che sembra possedere veri poteri paranormali, e la ricerca della verità diventa un’ossessione per Margaret e soprattutto per Tom, che arriva anche a trascurare l’amore della sua vita (Elizabeth Olsen in versione grazioso soprammobile) per inseguire i fantasmi.

Il più grosso difetto di Red Lights sono i suoi problemi di identità, indeciso com’è tra l’essere uno “scary movie”, con sedie che si muovono e tavoli che si ribaltano, e una più rigorosa indagine sul rapporto tra scienza e magia e sul valore dello scetticismo come filosofia. Il problema è che Cortés dà il meglio di sé quando esplora la psiche dei personaggi, ma quando spinge sul pedale dell’orrore classico paradossalmente rallenta, annoia e a tratti sfocia nel ridicolo. Per ogni inquadratura di potenza devastante – Cortés ha grande gusto nella composizione dell’immagine – ce n’è una rovinata da uno scherzetto anni Cinquanta. Per ogni dialogo intenso e provocatorio c’è una scena sciocca e trascurabile.

Fossimo in un incontro di boxe diremmo che ai punti, forse, sono più le cose buone che quelle cattive; purtroppo non è con il bilancino che si giudica un film, e in Red Lights ci sono troppe sbavature e troppe scelte ingenue e risibili (una su tutte: il finale) per promuoverlo appieno.

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Mi piace
La coppia Weaver/Murphy. Il gran gusto di Cortés per le inquadrature a effetto.

Non mi piace
Un De Niro ai minimi storici: più che tenerezza, fa rabbia vederlo scimmiottare se stesso. L’alternanza disarmonica tra stili e generi, che rende il film un mezzo pasticcio.

Consigliato a chi
È affascinato dal paranormale e, sotto sotto, vorrebbe anche un po’ crederci.

Voto: 2/5

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